domenica 24 aprile 2016

Il Mondo


A volte il mondo sembra correre troppo velocemente. 
Altre, troppo lentamente.
Così ti abitui a camminare solo in compagnia dei tuoi pensieri, scaldata dalle tue emozioni, sospinta dalle tue illusioni, seguendo il ritmo certo e prevedibile di un cuore che ormai ti conosce.
Poi, all’improvviso, ecco che qualcuno sopraggiunge proprio lì, al tuo fianco, sull’ombra del tuo sentiero, sorprendendo magari un tuo lamento di malinconico languore. E ti accorgi che quel qualcuno venuto da lontano cammina proprio come te: con la tua cadenza, con il tuo respiro, con il tuo ritmo, aderendo come per un’alchemica magia alla tua pelle, al tuo odore, alla tua anima.
Creature differenti eppure uguali. Nei pensieri, nei bisogni, nei desideri. Camminate, camminate e camminate senza tempo… state così bene insieme che non serve dire nulla, basta camminare fianco a fianco, intimamente compenetrati, perché anche il silenzio tra voi è fonte di piacere.
Vi crogiolate così, mano nella mano, bocca sulla bocca, riversati l’una nell’altro, in una fusione sublime e animale dove gli estremi si toccano fino a formare un cerchio perfetto. Eccesso e trasgressione sono per voi equilibrio e armonia, un microcosmo eccitato di energia dove tutto è possibile e niente è peccato.
Così, le vostre rassegnate solitudini diventano forze prodigiose indifferenti al resto del mondo. Quel mondo che a volte corre troppo velocemente. Altre troppo lentamente.
Ma ormai non ha più importanza. 
Perché il mondo siete voi.


martedì 19 aprile 2016

L'eco del vento


Il vento della notte ha lasciato solo l’eco di sé.
Una manciata di ricordi sparpagliati alla rinfusa dentro di me.
E uscendo in giardino, questa mattina prima del sole, l’aria frizzante sulle gambe nude mi ha rimandato lontano, lontano nel tempo eppure vicino nella mente.
Mi sono ritrovata bambina, cinque o sei anni, quando l’estate era lunghissima. Era lunghissima davvero, sia perché ai bambini tutto sembra essere grande, molto più grande della realtà, sia perché allora la scuola lasciava più spazio ai mesi estivi. 
Li vivevo in Sardegna, io. Una Sardegna dove Porto Cervo non aveva ancora violato l’animo della costa. Esisteva solo un mare di smeraldo, rocce nude, spiagge caste, qualche ulivo, aranci, tanto tanto sole, sempre sempre vento, e la casa bianca affacciata sulla spiaggia. Quella di mio papà.
E l’immagine di me che la mattina, all’alba, volo fuori casa con i piedi nudi per raggiungere il mare lì di fronte mi si è incollata dentro come un francobollo su una vecchia cartolina immutata nel tempo.
Non c’era nessuno! Solo i gabbiani che ridevano e piangevano in una stridula gara di voci e quel vento frizzante del primo mattino che invogliava ad aprire le ali per planare in mare insieme a loro. Ricordo che appena sfioravo con le dita dei minuscoli piedi l’onda quieta sulla spiaggia, mi chinavo con la testa tutta avanti, per fare una capriola e rotolare nell’acqua insieme alla sua spuma. Era irresistibile il desiderio, anzi il bisogno, di tornare in contatto con l'universo liquido da cui provenivo e che lì ritrovavo ogni mattino.
Regolarmente venivo strappata a questo istinto, per me tanto naturale quanto gioioso, dalle mani di qualche adulto comparso lì per sbaglio, a mio modo di sentire.

Eppure, quel richiamo di vento frizzante, di mare accogliente, quella voce della Natura indifferente agli altri esseri umani, resta vivo in me. E ancora oggi mi rende complice privilegiata di un modo di sentire tutto mio, anzi, tutto nostro. Mio, dei gabbiani, dell’acqua e del vento …

lunedì 18 aprile 2016

Tu, vento


Il vento parla.

Amo il vento, mi porta energia nuova, follia pura che mi galoppa sulla pelle, come mercurio libero dentro le vene.

Il vento gonfia le vele e mi porta lontano, nel profondo buio del mio pensiero, nel silenzio assordante del mio piacere.

Il vento mi culla l'anima con il suo musicale altalenare, con il suo inesorabile solfeggio avanti e avanti e avanti, ancora e ancora... Vieni vento!

Dove ti porta il vento, se non in quella parte più recondita e segreta di te dove, sola, ritrovi la tua verità, la tua fierezza, il tuo sentire di essere Donna o Uomo, Creatura che ama.

Il vento muove il mulino per fare il pane, muove le foglie per le poesie degli alberi e muove il mio essere dal profondo.

Il vento è Amore.


Il vento sei Tu.

domenica 17 aprile 2016

Il mio sogno


Mi sveglio all’alba tormentata da un sogno.
Fuori, un vento prepotente agita il lago e il primo pensiero, aprendo gli occhi nel semibuio, è che io somiglio al lago. Il mio sogno è il suo vento.
Mi trovo completamente nuda al principio di una spiaggia deserta. Davanti a me, su una lingua di sabbia dorata dal sapore africano, una lunga fila di fenicotteri bianchi e rosa procede in riverente processione, tagliando esattamente a metà lo scenario dal profilo surreale. Sotto la processione rosa, il folto tappeto di granelli dorati; al di sopra, l’evanescenza celeste del cielo mescolata al blu del mare.
Mi sento sopraffatta da tanta bellezza, un inatteso privilegio, perché sono completamente sola e voglio a tutti i costi fermare questo spettacolo, prolungarlo, toccarlo per goderne ancora, sempre … Così vado incontro ai fenicotteri incuranti della mia presenza e mi armo dell’unico strumento in grado di rendere in qualche modo eterno quel miracolo della Natura: la mia macchina fotografica. Il contrasto è totale, lo avverto in uno spiraglio di coscienza onirica. Loro, i fenicotteri, abbracciati dall’eleganza della naturalezza. Io, goffamente nuda, armata di tecnologica vanità.
Cerco in tutti i modi di accendere l’apparecchio, lo esploro con una difficoltà nuova, immane, non lo riconosco … non trovo i pulsanti, non so come usarlo, non riesco a fare funzionare ciò che mi è stupidamente familiare. E intanto i fenicotteri sfilano, uniti da un segreto dialogo, lentamente si allontanano dalla portata del mio sguardo, danzando all’unisono sulle zampe flessuose che li portano da est a ovest, richiamati da chissà cosa o chi. Vorrei allungare la mano per fermare lo spettacolo, come fosse una pellicola da riavvolgere a piacere, eppure non posso. Resto così nuda e impotente con i piedi sprofondati nella sabbia a leccare con gli occhi l’ultimo sprazzo di rosazzurro, l’ultima piuma lambita dal mare che, piano piano, diventa il lago.
Il lago agitato dal vento.
E mi sveglio.
Un improvviso senso di frustrazione mi assale. Combattuta tra l’estasi estetica di un sogno ancora acceso e la sensazione di vuoto che mi ha lasciato, mi chiedo che senso dare a quel messaggio onirico. E perché mi sento così triste.
La risposta sorge spontanea come il primo vagito del mattino.
La bellezza, così come la giovinezza, la gioia, l’amore, sono doni tanto immensi quanto evanescenti. Nulla può contro il tempo. Nulla può scolpirli in una istantanea da gustare e rigustare a piacere, perché un istante dopo il loro nascere, non ci sono più. Nessuno strumento umano ha il potere di vincere la caducità, di ingabbiare l’evolvere della bellezza, intesa come tutto ciò che di desiderabile l’esistenza ci offre. Non ci resta che ammirarla quando arriva, accettando la nostra nudità con gratitudine e umiltà. Perché a volte l'unico modo per essere protagonisti è accettare di essere spettatori.
L’unico strumento, forse, a nostra disposizione per assaporare appieno la bellezza della vita è la curiosità: l’apertura degli occhi, della mente e del cuore di fronte a tutto ciò che ci rende privilegiati protagonisti di un sogno, effimero sì ma ricamato apposta per noi.

Così mi alzo, guardo fuori... nessun fenicottero, né mare, né sabbia. Solo io e il mio lago agitato dal vento. Il mio sogno di tutti i giorni.

sabato 16 aprile 2016

Dolce voluttà


Tenerezza, eccitazione, nostalgia, languore …
Se i nostri stati d’animo fossero note musicali, comporremmo tutti vibranti melodie, diverse l’una dall’altra, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto.
Quanti pentagrammi emotivi dettati dal pensiero che, come uno svolazzar leggero di farfalla, si libra senza sosta ora su un romantico ricordo ora su un sogno proibito. Pensiero che corre e fugge a se stesso per poi posarsi con imprudente audacia su quel sottile confine tra fantasia e realtà che rimescola tutte le note in una folle danza: tenerezza, eccitazione, nostalgia, languore… E così la musica sgorga nuda in un crescendo impetuoso, protraendo l’estasi del desiderio fino al limite del parossismo.
Siamo tutti musicisti dei nostri sentimenti. Pur da analfabeti sappiamo scrivere spartiti sorprendenti su quel soffice leggìo che è il nostro cuore, cuore che vibra mieloso sottopelle convertendo la forza di volontà in dolce voluttà.
Ma per ogni musicista che suona, occorre un orecchio che ascolta.
E un altro cuore che sente.



martedì 12 aprile 2016

Con gli occhi pieni di blu


Lasciare il mare mi rende sempre triste.
Tanto riempie il cuore la sua vista, quel primo scorcio di blu che tutt’a un tratto spunta come il sole dietro una curva d’asfalto, tanto lacerante è l’ultimo sguardo, l’estremo saluto prima della partenza.
E allora mi vien da pensare che dopo tutto quell’immensa tavolozza di azzurro, cobalto, pervinca, turchese, indaco e celeste, quel tappeto spumeggiante di vento e di invisibili correnti, altro non sia che il riflesso della nostra interiorità.
Un panorama esteriore che dialoga con quello interiore, brioso di allegrezza per l’emozione al primo incontro e paludato di tristezza per la commozione della separazione.
Sì, perche anche se sai di tornarci prima o poi, quel distacco dal mare ha sempre il sapore di un definitivo addio. Con un taglio netto, il cordone ombelicale si spezza e la piccola creatura umana si separa dall’immensità acquatica della Natura.
Un’amarezza forse ancestrale si screma in un tocco nostalgico che sa di un presente ormai passato e non vien voglia di parlare.
Con gli occhi pieni di blu, in silenzio per l’ultima volta guardi il mare. E con fiducia consegni all’abbraccio delle sue onde i tuoi ricordi ancora caldi e i sentimenti ancora accesi, cullati in segreto dalla promessa del ritorno.

lunedì 4 aprile 2016

La risposta


Molti mi domandano perché abbia scelto di vivere proprio qui.
Lontano da tutto, lontano da tutti, isolata da mondo.

Come fai a resistere in questo silenzio?  Una manciata di casette affacciate su un lago sempre immobile, sempre uguale al giorno prima e al giorno dopo … sempre lo stesso panorama quando ti svegli la mattina … sempre le stesse voci, quelle degli uccelli, come dici tu, che anticipano l’alba rubandoti al sonno, magari a un bel sogno! Ti svegli che è ancora buio e vai a letto che è già buio …
Come fai senza le luci della città? Senza il rumore della società che cammina, che pulsa, che va avanti! Qui dove stai tu sembra che il tempo si sia fermato, non cambia mai niente, solo il colore delle colline a ogni cambio di stagione, sai che divertimento! Tu lo chiami dolce rifugio ma a me fa venire in mente quel libro in cui lui un bel giorno scopre di essere l'unico essere sulla Terra, tutta l'umanità sparita …come si intitola … Dissipatio H.G , di quello scrittore strano che infatti ha fatto una triste fine.
Che desolazione! Come hai fatto a sopportare l’inverno qui? Le giornate così corte, avvolta presto dal torpore della sera, dal freddo pungente, dal grigiore della solitudine … almeno in città esci e sei tra la gente.
E adesso che è primavera non ti viene voglia di uscire in compagnia, andare a fare shopping, a ballare, a divertirti come tutti quelli che vivono in una città grande?
Qui hai solo la Natura, la "tua Natura". Montagne, colline, prati, lago, pecore, mucche, asini, uccelli …tu dici che ognuno di loro ha un canto diverso, che ti dà gioia ascoltarli …che i gabbiani per esempio ridono e piangono secondo come si sentono, che le anatre parlano come Paperino, i cigni soffiano come flauti e che le folaghe suonano come trombette. E immagino che per te persino i pesci emettano voci, o no…? Chissà cosa ti dicono! Dai ammettilo, è tutto così così tranquillo e noioso qui!

Molti mi domandano perché abbia scelto di vivere proprio qui.
Lontano da tutto, lontano da tutti, isolata dal mondo.
Beata sorrido. E la risposta la lascio a loro …

sabato 2 aprile 2016

CAPO VERDE, UN ASSAGGIO DI TROPICI A DUE PASSI DA CASA





CINQUE BUONE RAGIONI PER VISITARE UNO DEI PARADISI TERRESTRI PIU’ AFFASCINANTI, CULLA DI NATURA, STORIA E CULTURA


Alcune località esotiche evocano sentimenti tanto intensi da non essere traducibili a parole. Una di queste è l’Arcipelago di Capo Verde che, con la sua personalità dalle mille sfumature, suscita quel moto d’animo che i capoverdiani hanno battezzato morabeza. E’ uno struggente senso di dolcezza mescolato all’acuta nostalgia per qualcosa che se ne va, un sentimento inafferrabile ma prepotente.
Il termine rispecchia l’indole degli abitanti e insieme l’aspetto variegato delle isole. Morabeza evoca infatti la morbidezza delle dune dorate di Sal e Boa Vista che scivolano nell’Oceano e insieme l’asprezza delle guglie vulcaniche di Fogo, un rigurgito d’inferno affiorato sulla terra. Tra i due estremi sfilano le colline selvagge delle isole Brava, S. Nicolau e S. Antao, gli anfratti segreti di Maio e le testimonianze coloniali di Santiago e S. Vincente. L’Arcipelago ha questo nome perché si affaccia su Cap-Vert, sulle coste del Senegal, e ogni isola ha una conformazione geografica tutta sua, come fossero sorelle di una stessa famiglia. Questo straordinario ventaglio di caratteristiche rende l’Arcipelago particolarmente attraente e sono almeno cinque le buone ragioni per visitarlo.
La natura: l’Oceano Atlantico lambisce le isole mitigandone i cuori. Mentre Sal con le sue saline è completamente civilizzata, le altre isole difendono la propria naturalezza. Boa Vista, in particolare, sposa accoglienza e selvatichezza: capricciosa come le sue montagne, mistica come i suoi deserti, soffice come le sue spiagge. L’assenza d’acqua in mezzo all’oceano è il più grande capriccio di quest’isola. Le spiagge sono nastri di zucchero che racchiudono un cuore completamente arido. La più lunga, Praia do Curralinho, è chiamata anche Santa Monica e, con i suoi 20 chilometri di sabbia regala la sensazione di una preziosa verginità.
Il clima: Capo Verde è il punto più occidentale dell’Africa e gode di un clima tropicale secco. Le piogge sono scarse e le dorate distese di deserto sahariano lo testimoniano. Inoltre la collocazione a “metà strada” tra Africa e Americhe fa sì che le tartarughe Caretta Caretta scelgano queste coste per depositare le uova, nel loro faticoso viaggio per la vita.
La gente: è accogliente e gentile, amalgama di un intreccio di culture evidente anche nei tratti somatici degli abitanti. Senegal, Guinea-Bissau, Portogallo ma anche Francia, Olanda e Inghilterra hanno riversato qui parte della propria storia e oggi creoli, africani e portoghesi convivono fianco a fianco. La musica è forse l’espressione più emozionante di questo meltin pot, struggente e sensuale, come le indimenticabili canzoni di Cesaria Evora .
La cultura: la storia nota dell’arcipelago risale al 1462 con i primi insediamenti portoghesi e la successiva schiavitù degli Africani. Le città coloniali di Mindelo e Praia raccontano questo passato mescolandolo allo spirito creolo della gente. Nel 1975 Capo Verde ottiene l’indipendenza dal Portogallo e intraprende il suo cammino verso il turismo.
La posizione strategica: a sole cinque ore di volo dalle principali città italiane Capo Verde è il ponte tra l’Europa e il Brasile, un suadente assaggio di tropici a pochi passi da casa. Meridiana collega direttamente l’Italia all’aeroporto di Sal.

Capo Verde a tavola

La mescolanza di razze e culture è spesso culla di ricette gastronomiche particolarmente interessanti, innovazioni che diventano tradizioni. La cucina capoverdiana nasce dallo sposalizio dei prodotti tropicali introdotti dagli schiavi africani con quelli dei navigatori portoghesi. Questo mix cultural-gastronomico ha partorito anche il piatto tipico capoverdiano: la cachupa..
Ingredienti per 4 persone:
5 pannocchie fresche di granturco
100 g. di linguica (salsiccia affumicata portoghese)
¼ di zucca
250 g. di fave o fagioli
2 patate dolci
1 manioca
1 inhame
2 banane verdi o platano
2 pomodori
olio extravergine di oliva
pepe nero
coriandolo
1 cipolla
2 denti d’aglio
Preparazione:

Sgusciate i chicchi di granturco e poneteli in un tegame facendoli dorare con cipolla, aglio, salsiccia, pepe nero e olio. Aggiungete il granturco dorato al resto degli ingredienti insieme a una quantità d’acqua sufficiente a coprirli. Lasciate sobbollire finché il tutto non sarà appassito. Prima di servire condite con sale e guarnite con foglie di coriandolo tritato.