martedì 22 settembre 2015

L'immensa grandezza dell'infinitamente piccolo



Tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande la differenza è talvolta trascurabile.
Guardando il cielo punteggiato di costellazioni per lo più sconosciute o il mare popolato da creature con fogge e colori che superano l’inverosimile, penso che tutto sommato i due immensi abissi, quello celeste e quello marino, un po’ si somiglino.
Si somigliano per il misterioso fascino che li anima e li avvolge, fascino solo in parte afferrabile dalle logiche della comprensione e tuttavia carezzabile dall’immaginazione.
A metà tra le due vertiginose vastità galleggia, poi, un altro abisso altrettanto seducente, per quanto microscopico al cospetto dei primi.
E’ l’universo dell’animo umano. Potrebbe stare racchiuso in una mano, come un cuore. O in due, come un cervello. Tuttavia non si tratta di un organo, né di una stella, né di un pesce. E’ un qualche cosa che non si vede, non si tocca e non si sente, eppure esiste.  
Ed è qui, dentro quest’impalpabile tessuto ricamato di sogni e pensieri, paure e passioni, desideri e illusioni, che si srotolano quelle paludose sabbie mobili inespugnabili dall’umana ragione, di cui siamo al contempo schiavi e padroni.
Valli e dune, vette e precipizi, giungle e deserti, che si ripiegano su se stessi infinite e infinite volte, moltiplicando curve che cercano linearità, anfratti che cercano spazio e ombre che cercano luce. Sfuggenti alla matematica precisione di qualsiasi strumento di misurazione, le geometrie dell’animo umano sbeffeggiano la logica della ragione e somigliano piuttosto alle rivoluzioni cromatiche riprodotte da un caleidoscopio, i cui vitrei ectoplasmi s’aggregano e disgregano con l’alchimia di un tocco da illusionista, animando una composta danza di spettri.  
Ed è qui, in mezzo ai liquidi fantasmi di quest’immaginario caleidoscopio, che si nasconde e rivela l’immensa grandezza dell’infinitamente piccolo. Un infinitamente piccolo silente e invisibile, ruggente e accecante, in cui è facile perdersi senza più ritrovarsi: entrarci come schiavi è un gioco da lillipuziani ma uscirne da padroni è un’impresa da giganti. 

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