martedì 25 marzo 2014

Il tempo del piacere, a tavola e ... non solo



Rileggendo a distanza di anni “Ricette immorali”, un delizioso pamphlet gastro-erotico di Manuel Vàzquez Montalbàn, mi rendo conto di come i sensi si affinino con l’avanzare dell’età e anche una lettura può cambiar sapore. Crescendo (ma non troppo) i sapori s’accendono, diventano più intensi, corposi, sanguigni, penetranti … altro che quando si era giovani!
Sapori eccitanti, trasmessi anche dalle parole scritte. Parole imbevute di malizia e trasgressione, anche quando si parla di cibo e di cucina, come in questo libro, che induce alla lascivia e al tradimento sin dalle prime pagine. Perché il gusto del proibito, si sa, è irresistibile. Una lettura adultera, insomma, febbrilmente sospesa tra i fornelli e le lenzuola…
E mi rendo conto che uno dei fattori che qualificano il piacere, sia in cucina, sia a tavola, sia a letto, è il Tempo. Così come l’età incide sul saper assaporare, gustare e apprezzare le situazioni in un voluttuoso rimescolamento di esperienza e novità, anche lo scorrere del tempo durante la preparazione di un piatto, ovviamente condiviso, crea una dilatazione estremamente vertiginosa del desiderio, che da illibato istinto può farsi vorace peccato.
Cucinare insieme rappresenta l’apoteosi del petting. Quel continuo sfiorare di mani, di anche, di pelle, di respiro … quel costante annusare, assaggiare, leccare … quello scambio di mugolii di piacere, che soppesano piccanti fragranze e dolci armonie senza tuttavia tradire mai il linguaggio gastronomico per quello esplicitamente erotico. Insieme, si parla di cibo, si maneggiano pentole, si preparano piatti, eppure …
Eppure, la cucina è l’anticamera del piacere sessuale, se tra due anime c’è intesa viscerale. Quella complicità inspiegabile che strega e che con la sua mano invisibile, profumata di seduzione, accompagna due corpi carnosi verso lo stesso liquido destino.
E, come scrive Montalbàn, la cucina strumentalizzata alla sessualità deve avere il suo giusto tempo a tavola, né più né meno. Un lungo incontro a tavola e un dopotavola lungo allontanano l’oscuro oggetto del desiderio.
Sono assolutamente d’accordo. Da parte mia, aggiungerei che ancor più stuzzicante sarebbe un incontro moderatamente lungo esclusivamente in cucina, anziché a tavola, un ‘luogo temporale e spaziale’ che ricami insieme la trama farcita degli ‘antipasti’ con la degustazione cremosa del ‘dessert’!
Peccato non cedere all’appetito, a questo punto, perché la frontiera sfiziosa che separa i fornelli dalle lenzuola rappresenta il privilegiato punto di non ritorno per chi ama la vita. 
Proibito , anzi, immorale sarebbe negarselo!

martedì 18 marzo 2014

“I CARRACCI”, DOVE IL BUON GUSTO SI FA OPERA D’ARTE


Arte & Sapori

Al Ristorante del Grand Hotel Majestic già Baglioni di Bologna l’appetito vien guardando



Accomodarsi a tavola sotto l’impeto di Zeus che, con la sua guizzante saetta, punisce impietoso il figlio di Apollo è un’esperienza imperdibile per chiunque ami l’arte, la cucina e la seduzione dei sensi. Il Mito di Fetonte, celebre affresco dei fratelli Carracci risalente al Cinquecento, è solo una delle preziose opere che incorniciano un salone unico per eleganza e stile, anticipando le delizie dell’arte culinaria con quelle dell’arte pittorica.
Coccolare il gusto prima con la bellezza poi col sapore è uno dei segreti del Ristorante I Carracci, goloso scrigno custodito nell’Hotel*****L  Majestic di Bologna, teatro di storia, cultura e mondanità, sotto la sapiente direzione del General Manager Tiberio Biondi. Il soffitto della sala somiglia a una spaziosa volta, animata da figure e colori messi in opera dai fratelli Annibale, Agostino e Ludovico i quali certo non pensavano che, un dì molto lontano, un ristorante avrebbe preso il loro cognome. Le decorazioni sovrastano l’ampia sala donandole un respiro scenografico regale, in cui gli ospiti (70 i posti a sedere) vivono la sensazione di essere i protagonisti d’un tempo che fu.
Il servizio impeccabile e l’eccellenza gastronomica sono gli altri due segreti de I Carracci che da sempre sposa la tradizione culinaria locale con le creazioni più inventive internazionali, senza mai tradire la filosofia della propria personalità. “E’ importante far conoscere i piatti che hanno reso famosa la cucina di Bologna in tutto il mondo” afferma con giusto orgoglio l’Executive Chef marchigiano Giacomo Galeazzi e siccome personaggi da tutto il mondo da sempre passano qui, la cucina bolognese è finita – letteralmente e felicemente – sulla bocca di tutti. I menu sono ispirati agli affreschi “Le quattro stagioni” e sfruttano essenzialmente i prodotti di stagione che, come in un dipinto, compongono di volta in volta piatti di carne, pesce e vegetariani. Tra le ricette più richieste ideate dallo Chef Galeazzi insieme alla sua squadra di talenti, sono: il Salmone marinato al tè nero affumicato con cetrioli yoghurt e composta di cedro; la Battuta di carne cruda al coltello, la cosiddetta Fassona piemontese, con tartufo scorzone, sedano e zabaione freddo al parmigiano; le Tagliatelle fatte in casa con ragù, ovviamente alla bolognese; e la Ricciola in due cotture con battuta di melanzane, peperoni arrosto e finocchietto.
Ad ognuno il suo piatto preferito, dunque, così come per il vino. Perché in un Ristorante come I Carracci non poteva mancare una storica Cantina dedicata a uno dei maggiori pittori bolognesi del ‘900, Giorgio Morandi. Anch’essa cinque stelle lusso, la Cantina Morandi non è solo custode di celebri etichette nazionali e internazionali ma è anche location suggestiva dove assaporare il meglio delle antiche tradizioni bolognesi in un’atmosfera amichevole e informale. Imperdibili per chiunque volesse sorseggiare l’eccellenza della Romagna, sono i vini di Umberto Cesari che ha portato il Sangiovese al massimo della sua espressione.
Una cena a I Carracci merita d’essere coronata con una sosta panoramica sulle Terrazze del Grand Hotel Majestic, perfette durante la bella stagione per piccoli raffinati ricevimenti, cene Vip, o semplicemente incontri romantici a due, dove complice dell’intimità è la vista sulla Torre dei Conoscenti o Torre Ritrovata, nel cuore di Bologna.
Il Giardino d’inverno con i suoi ariosi tromp-l’oeil e il Caffè Majestic completano l’opera, bella e golosa dall’inizio alla fine. Un’opera degna di Zeus!
E per chi visitasse Bologna dall’8 febbraio al 25 maggio, a Palazzo Fava (a due passi da I Carracci) potrà ammirare la “Ragazza con l’orecchino di perla”, celebre capolavoro di Vermeer dall’intramontabile misterioso fascino. Per l’occasione, lo Chef Galeazzi e il Barman Shanti Medici proporranno creazioni con piatti e cocktail esclusivi ispirati alla mostra.

venerdì 14 marzo 2014

Albeggiando



Anche questa mattina mi sono svegliata prima della luce. 
Ormai è diventata una piacevole abitudine, un appuntamento con me stessa. Ho ammirato l’alba sbadigliare e rinascere e mi son sentita viva, felice. 
Tuttavia, un’ombra ha incupito i miei pensieri e mi ha fatto immaginare come sarebbe tutto diverso se, affacciandomi alla finestra, vedessi sorgere il primo sole dal mare, dalle montagne o dal mio lago, anziché dalle fronde del mio giardino. 
Il mio amato giardino…quello che m’ha visto nascere, crescere, che mi protegge dall’urbanità, dall’insipido grigiore della città. Una città di cui mi sento ostaggio! Eppure, mi rendo conto che anche questa cintura di verde, madre e amica, diventa sempre più insufficiente a sfamare il mio bisogno di natura e di libertà.
Guardo fuori l’alloro pronto ad accogliere i primi nidi, ascolto i merli chiacchierare incuranti della mia presenza, sorseggio il primo caffè di un giorno che non si sa che sapore avrà e avverto prepotente il precipizio della ribellione, accesa dalla rivoluzione dei miei panorami interiori.
Intanto l’alba s’è fatta giorno. E mi domando ... dove sono io veramente adesso?

lunedì 10 marzo 2014

AMOR



Spesso scrivo della città che più d’ogni altra amo, Roma.
Eppure non ho mai raccontato qual è l’origine del suo nome. 
Molti certamente lo sapranno, per chi invece l'avesse dimenticato e fosse curioso, ecco qui.
In verità, l’origine del nome è piuttosto controversa, una città tanto fascinosa e multiforme non poteva che racchiudere qualche mistero anche nel suo battesimo! Tuttavia esistono alcune ipotesi abbastanza accreditate.
Una di esse fa derivare il nome di Roma dall’etrusco “rumon”, che significa “fiume”, in omaggio al Tevere. Un’altra ipotesi lo attribuisce alla lingua osca, con esattezza alla parola “ruma” che significa “colle”. Un’altra ancora prende in prestito il nome dalla dea Rumia, la protettrice dei neonati che aveva un sacello presso il Ficus Ruminalis. Mentre altri, semplicemente, ritengono che sia stato il suo leggendario fondatore, Romolo, a battezzare la città.
Personalmente, credo che mito e storia giochino ad ammantare la  città eterna anche nel suo stesso nome, probabilmente ci sarà un po’ dell’uno e un po’ dell’altra in quelle quattro magggiche lettere.
Io però una mia ipotesi ce l’ho e a questa mi piace credere ogni volta che torno con il corpo o con la mente nella mia città del cuore: il nome Roma, per me, altro non è che la parola Amor … pronunciata al contrario! 

domenica 9 marzo 2014

Le stagioni dell'Anima



Evidentemente i panorami esteriori, quelli che cerco, sono lo specchio di quelli interiori. Un po’ come le letture in cui amo immergermi.
Fino a poco tempo fa anelavo l’Africa, con i suoi immensi deserti, i suoi profondi silenzi e i suoi struggenti ossimori.  Non l’ho dimenticata, è sempre dentro di me perché mi ha plasmato come il vento fa con le dune, sempre uguali eppure sempre diverse. Tuttavia, oggi ho fame di fresca effervescenza, di musica dimenticata, di colori sgargianti, di ebbra leggerezza…sì, di America. 
E allo stesso modo, ho riposto nel cassetto i mentalismi ombrosi di Dostoevskji e Jung per riscoprire la vibrante sensualità di Henry Miller e Anais Nin, anzi… vorrei dimenticare un po’ i libri di cui mi sono a lungo nutrita isolandomi in me stessa, per pensare meno e ridere di più. Voglio correre fuori, all’aria aperta, col naso all’insù e mordere la vita, bere il sole, mangiare le stelle!
Sarà la primavera, chissà…forse anche le stagioni dettate dalla ciclicità del tempo non sono altro che un riflesso dei panorami interiori, delle stagioni dell'Anima.
E allora, adesso, voglio fare come le piante, ricoprirmi di foglie, di profumati fiori, di golosi frutti … e ricominciare a vivere, sperando che l’inverno non torni mai più!

mercoledì 5 marzo 2014

PASSAPORTO PER IL FUTURO



Mi spaventa confrontarmi con persone che per scelta, nella vita, non desiderano viaggiare. Sottolineo per scelta, non per mancanza di possibilità.
Questa consapevole e ostentata assenza di curiosità, questa mancata voglia di apertura, di avventura, di condivisione e anche di rischio, perché no, non solo sa di presunzione intellettuale ma di povertà spirituale.
Il pregiudizio che talvolta s’annida dentro di noi nei confronti dell’altro-da-noi, soprattutto se straniero, se lontano, se ovviamente per definizione ‘diverso’, prospera pericolosamente beffardo quando non interviene l’antidoto del viaggio, rendendoci ciechi e sordi. Certo, si può anche viaggiare restando tuttavia ciechi e sordi, ostaggi delle proprie barriere mentali, ma almeno si offre una possibilità al seme dell’incertezza di attecchire e rendere fertile un terreno arido. Dipende da come si considera il viaggio!
Viaggio come strumento, non come fine. Come siero, enzima, come cura ... Viaggio come mezzo per ridisegnare il profilo di ciò che si conosce fuori, arricchendo l’orizzonte spaziale e temporale con altri sempre nuovi, ma anche dentro, perché le idee, i pensieri, le opinioni, le emozioni e i sentimenti si plasmano, si aggiustano, si colorano, si contaminano in un continuo fiorire e rifiorire quando si entra in contatto con altre culture. 
Partire dimenticandoci un po’ anche di chi siamo, portando appresso solo il minimo indispensabile e lasciando a casa abitudini, gusti, ingessature e ‘occhiali’ distorcenti…così da assorbire il nuovo senza paura, il diverso senza diffidenza, e metabolizzarlo come parte naturale dell’universo. Esattamente come siamo noi!
Questo spero di avere insegnato al mio bambino, oggi quasi diciottenne. Non considerare la vacanza come una parentesi d’assenza dalla quotidianità per poi ritornare e chiuderla in un file d’immagini sbiadite da mostrare ogni tanto come memoria o come trofeo … No!
Ogni viaggio è un mattone che costruisce la tua vita, interiore, intellettuale, emotiva. E la calce che tiene insieme questi mattoni è fatta di ascolto, di rispetto, di umiltà, con la consapevolezza che ogni conoscenza è un contagio reciproco: quando entriamo in un’altra terra siamo ospiti e non a casa nostra. Presentiamoci, dunque, sempre con il sorriso, chiedendo permesso e dicendo grazie, perché l’atteggiamento che usiamo nei confronti dei padroni di casa è specchio della considerazione che di loro abbiamo e senz’altro sarà apprezzato e ricambiato quando i ruoli saranno invertiti. Questo è il vero passaporto per il futuro e solo in questo modo, dire “buon viaggio” acquista un valore…un valore inestimabile per chi visita paesi stranieri e per chi viene visitato.
Buon viaggio, dunque … al mio bambino, a me stessa, al mio compagno di viaggio e a tutti quelli che, per scelta, ogni volta partono consapevoli di vivere un'occasione unica per crescere. 

lunedì 3 marzo 2014

Dai Piedi alla Testa



Questa mattina, camminando per la mia grigia città, mi son resa conto di qualcosa che probabilmente farà ridere i più. E cioè che quando torno da un viaggio esotico, dove sole e mare dominano i sensi, quel che più mi manca è la nudità, e quel che più mi tormenta sono … le scarpe!
Sì, dopo aver beatamente camminato a piedi nudi praticamente sempre, per giorni e giorni, su morbide spiagge borotalcose e sabbiosi fondali marini, ecco che quel fardello pesante ai piedi non solo disturba il mio corpo ma infastidisce anche la mente. La presenza delle scarpe ai piedi sobilla i miei pensieri che si ribellano alla costrizione della civile accettazione della quotidianità e vorrebbero, invece, continuare a galoppare animalescamente nella naturale spontaneità della natura. 
Tatto e contatto, dalla testa ai piedi, questo mi manca!
Così, quell’intromissione di gomma, cuoio, tessuto e stringhe tra la terra e me diventa metaforicamente anche un ostacolo tra il mio modo d’essere e il mondo circostante che non mi corrisponde (o io non corrispondo ad esso). 
Del resto si sa che esiste un collegamento stretto tra le sensazioni ricevute dai piedi e le percezioni cerebrali, la reflessologia plantare insegna. Quindi, è naturale che la mancata nuda aderenza delle appendici inferiori con il suolo privi il corpo, e di conseguenza la mente, di sensazioni ‘psicotattili’ penetranti, spesso piacevoli, a volte anche dolorose, ma comunque fitte, intense e complementari di tutte le altre sensazioni che il corpo riceve e trasmette.
Per ovviare a questa mutilazione sensoriale proveniente dal basso, arrivata a casa cerco di stare il più possibile senza scarpe e senza calze, tastando con consapevole gusto il pavimento, o l’erba del giardino, come un’ipovedente capovolta, usando i piedi come le mani, per ‘vedere’ ‘sentire’ ‘assorbire’ sensazioni altrimenti impercettibili. 
E lasciare così che la mia mente torni, attraverso i piedi, a quelle morbide spiagge borotalcose, a quei sabbiosi fondali marini, che tanto mi mancano … in questa mia grigia città!