lunedì 4 marzo 2013

Un balsamico amore



Nella vita, poche sono le cose che accendono i sensi con la delicatezza delle fini sollecitazioni. E in un’epoca in cui il piacere è sempre più fagocitato dalla frenesia e dall’eccesso, si rischia di dimenticare del tutto il gusto lento della morigeratezza. A tavola e non solo.
Parlando di appetiti gastronomici, tra le squisitezze in grado di sedurre il palato con un semplice tocco di sensualità, primeggia l’Aceto Balsamico. Quello Tradizionale di Modena e quello di Reggio Emilia rappresentano uno dei vanti del buon gusto italiano, la cui fama ha varcato i confini di tutti i continenti, anche se purtroppo attraverso molte imitazioni che con l’autentica specialità emiliana non hanno nulla a che vedere. Se l’anima di questo condimento si concentra in poche gocce dispensate con amore e fantasia, la sua vita si stempera invece nei meandri di una storia secolare. Autentico elisir di benessere, l’Aceto Balsamico è sbocciato, infatti, nell’alveo di una lunga tradizione che l’ha definitivamente incoronato uno dei ‘re della tavola italiana’.
Un po’ di storia 
Probabilmente, il suo primo antenato era la ‘sapa’, nota già a Virgilio, il quale nelle Georgiche ne narrava le virtù dolcificanti. Era un embrione di mosto cotto in recipienti di legno, da cui si ricavava un liquido dai connotati aromatici vagamente simili a quello che sarebbe stato il vero Aceto Naturale, detto poi Balsamico. L’aggettivo che accompagna il nome dell’essenza suggerisce una mescolanza di usanze antiche e magiche, più legate all’ombra misteriosa dell’alchimia che alla luce della scienza culinaria. Il concetto di ‘balsamico’ si ricollega, infatti, a una dimensione precedente all’analisi chimica delle attuali categorie organolettiche, alludendo alle virtù terapeutiche e curative attribuite sin dall’antichità a questo distillato di benessere. Anche se la prima menzione ufficiale di ‘balsamico’ risale al Registro estense delle Vendemmie e vendite dei vini del 1747, già nel Medioevo l’Aceto Balsamico faceva parlare di sé. La prima testimonianza scritta risale all’anno 1046, quando l’imperatore di Germania Enrico III, in viaggio verso Roma, fece sosta a Piacenza dove restò letteralmente estasiato all’assaggio di uno speciale aceto che “aveva udito farsi colà perfettissimo”. Gli fu offerto da Bonifacio, marchese di Toscana nonché padre di Matilde di Canossa, nelle sale di quel castello destinato a testimoniare l’incontro del perdono, avvenuto qualche anno dopo tra papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV. Proprio all’interno di quelle mura veniva prodotto l’Aceto Balsamico, offerto con giustificato orgoglio dalle teste coronate, i segreti della cui produzione restarono a lungo custoditi dalle consorterie estensi. Dal XII secolo fino al Rinascimento, il prodotto prese a rallegrare sempre più spesso le tavole delle famiglie ricche e socialmente potenti e le stesse acetaie divennero presto un simbolo di tale potere. Fu Alfonso I duca di Ferrara, nel 1476, che estendeva i suoi domini sulle attuali province di Ferrara, Modena e Reggio Emilia, a corroborare la fama di questo elisir capace di conquistare chiunque lo assaggiasse. Il grande poeta reggiano, ma di famiglia di antico ceppo bolognese, Ludovico Ariosto se ne innamorò a tal punto da immortalarlo in una delle sue famose Satire. Tuttavia, il prezioso aceto non appagava esclusivamente il palato dei commensali e la fantasia dei poeti, perché le sue decantate virtù terapeutiche lo indicavano come un vero e proprio medicinale. Era un rimedio comunemente usato contro lo scorbuto e si narra che Francesco IV duca di Modena lo usasse per curare l’ulcera, mentre Lucrezia Borgia per lenire i dolori del parto. In seguito, durante la grande peste del Seicento, fu sfruttato anche per le sue qualità aromatiche: versandone alcune gocce sulle braci dei camini accesi nelle case serviva da purificatore dell’aria infetta e maleodorante. Non mancano aneddoti più goliardici che lo immortalano anche come afrodisiaco, unendo gli appetiti della tavola a quelli del letto. Pare, infatti, che i più voluttuosi libertini del Settecento, tra cui Gian Giacomo Casanova, ne fossero fedeli consumatori. Durante tutto l’Ottocento, le testimonianze scritte sul suo impiego si colorarono di dettagli sempre più vivi, legati indissolubilmente alle abitudini sociali del territorio d’origine. Si sa, per esempio, che le famiglie nobili modenesi e reggiane dell’epoca usavano impreziosire la dote delle future spose con le “acetaie”, una batteria in genere di 3, 5 o 7 botticelle di legni differenti contenenti aceto balsamico particolarmente pregiato.
E’ grazie a questa preziosa eredità culturale tramandata nei secoli che si approda ai giorni nostri, conservando intatte le virtù di un’eccellenza gastronomica italiana sempre più apprezzata anche all’estero.
La Produzione oggi
Per chiarezza, è bene precisare che alla famiglia reale dei Balsamici, appartengono l’Aceto Balsamico Tradizionale sia di Modena (ABTM) sia di Reggio Emilia (ABTRE), un’accoppiata vincente in cui ognuno possiede un temperamento unico, una propria anima inconfondibile e inimitabile. Il metodo di produzione è quello tramandato nei secoli, ‘tradizionale’ appunto: l’anima della lavorazione è il mosto cotto, ottenuto dal Trebbiano e da altre uve rigorosamente locali, quali Lambrusco, Ancellotta, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino e Occhio di Gatta, tutte uve che assicurano al mosto almeno 15 gradi saccarometrici. Dopo di che, la prodigiosa metamorfosi da mosto a elisir avviene durante una lenta fermentazione custodita in vaselli, o botticelle, di legni pregiati che riposano nell’acetaia per almeno dodici anni. Il tipo di legno che ospita il mosto durante la maturazione determina sfumature olfattive e gustative molto variegate, accentuate anche dal travaso da una botticella all’altra, dalla più grande alla più piccola. Vaselli in quercia, rovere, ginepro, ciliegio, robinia, frassino, gelso o castagno influiscono sul carattere finale del prodotto, che sarà di conseguenza più o meno vivo, franco, vellutato, sciropposo, amalgamato e comunque sempre prezioso. Non viene aggiunto altro all’interno dei vaselli minuziosamente numerati, eccezion fatta per l’eventuale innesto delle colonie batteriche, la cosiddetta ‘madre’. L’alchemica trasformazione avviene nella quieta penombra e nel silenzio odoroso dell’acetaia, dove il mosto viene armoniosamente cullato e lasciato respirare fino alla sua completa maturazione. Il prelievo di aceto al termine dell’invecchiamento deve avvenire con la stessa parsimonia e premura con cui è stato curato l’intero processo, per evitare di snervare il prodotto che resterà ancora a riposare.
Si capisce come questo sia un matrimonio filosofico tra pazienza e sapienza, tra lentezza e morigeratezza, il cui frutto viene consacrato alla scrupolosa attenzione di esperti analisti sensoriali prima di essere definitivamente promosso al pubblico. L’affinamento del bouquet deve raggiungere un preciso punto d’equilibrio olfattivo e gustativo, in cui l’intensità sposi adeguatamente la delicatezza per proporsi ai sensi con misurato garbo. Un condimento di tale levatura deve, infatti, carezzare senza aggredire le pietanze e corteggiare senza violentare i palati. Anche il tipico colore ambrato dell’Aceto Balsamico è messaggero delle sue proprietà intrinseche, in grado di anticipare, attraverso le gradazioni cromatiche, le sensazioni olfattive e gustative. Per l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia tre sono le sfumature tradizionalmente riconosciute: ‘aragosta’, che indica la tipologia più agra dalla timbrica squisitamente tenue e delicata; ‘argento’, che si riferisce a un carattere più corposo, avvolgente e tendenzialmente dolce; ‘oro’, che definisce il tipo più raro e pregiato, ricco di una dolcezza penetrante, sciropposa e persistente. E’ il caso dell’Aceto Balsamico Extravecchio, ottenuto dopo venticinque anni di maturazione e di esaltazione della qualità, ideale soprattutto a fine pasto per trasformare un qualunque dessert in un’opera d’arte.

L’utilizzo in cucina
La versatilità dell’Aceto Balsamico è straordinaria e non c’è piatto che non sposi felicemente la sua voluttuosa alchimia. Generalmente, gli aceti più giovani si addicono meglio agli ortaggi crudi, ai legumi, alle cipolle e alle patate; mentre gli invecchiati preferiscono le carni cotte, i dessert e i gelati, basti pensare al delizioso gelato Matilde in cui poche gocce di Balsamico trasformano la candida crema in pregiato nettare. Una piccola raccomandazione per chi in cucina ama improvvisare a discapito dell’esperienza: l’Aceto Balsamico Tradizionale reclama l’utilizzo a crudo, poiché le cotture prolungate ne mortificano la personalità, inoltre sui cibi cotti andrebbe versato solo al termine per non violare la verginità del bouquet. In ogni abbinamento, comunque, un Balsamico di rispetto dovrebbe sopraggiungere all’appuntamento con gli altri ingredienti all’ultimo istante, proprio come la donna a un appuntamento galante. Solamente sugli ortaggi crudi è consigliabile anticiparlo all’olio, extravergine ovviamente, ma farlo rigorosamente seguire al sale. L’essenziale è che venga sempre profuso con oculata moderazione: a gocce, a spruzzo, col cucchiaino, evaporato, sfumato o amalgamato, ne bastano poche gocce per esaltare i sapori di ogni alimento senza involgarirne la peculiarità. Per questo suo carattere generoso e democratico, l’Aceto Balsamico è il trucco vincente nel cilindro magico di ogni gourmet che voglia trasformare un anonimo piatto in un miracolo da illusionista: dai risotti alle paste; dalle carni rosse o bianche ai pesci e ai crostacei; dalla selvaggina ai tartufi; dalle verdure cotte o crude alla frutta fresca; dalle salse piccanti alle composte e ai frullati; dalle torte ai gelati. Il balsamico concilia amorevolmente i gusti concertando tutti i sensi. Basterebbe, tuttavia, assaggiarne poche gocce lacrimate su fragranti petali di parmigiano reggiano per innamorarsi perdutamente di lui. Infine, un consiglio per veri intenditori è quello di gustarlo ‘nudo’, in purezza, sorseggiando ad occhi chiusi un autentico Extravecchio da un sottile bicchierino di cristallo, decantando lentamente effluvi, memorie e desideri. E’ un piacere raffinato, questo, da meditazione solitaria o amorevolmente condivisa, sospeso tra la profondità spirituale e la sollecitazione sensoriale. Abbandonandosi a quel balsamico andirivieni di sfumature lucenti e sciroppose, sarà naturale avvertire un piacevole fervore alle labbra solleticate dal calore della lingua. Un tiepido fervore che solo un bacio lento e appassionato potrebbe prolungare in un fiorito bouquet di nuove balsamiche fragranze.
Insomma, se un buon Balsamico è il condimento perfetto per ogni piatto, l’amore è il condimento perfetto per ogni Balsamico, giovane o invecchiato che sia. Perché cose così eccelse non hanno età.

(Pubblicato su ON e tradotto anche in cinese)