mercoledì 31 luglio 2013

Fuochi senza frontiere



Da bambina dicevo a me stessa che una volta cresciuta avrei sposato uno Svizzero! E non per interessi materiali. Piuttosto perché sono sempre stata esterofila e ho sempre avuto fretta di imparare altre lingue per comunicare con chi non conosceva la mia. Così, cercando già allora di conciliare sogni e realtà, immaginavo che la Svizzera, per il suo collage di culture e per la sua vicinanza geografica, fosse un buon compromesso per le mie ambizioni sentimentali. Non è andata così alla fine, forse perché non ho incontrato lo Svizzero giusto, ma ancora oggi appena oltrepasso il confine e approdo in Ticino sto bene e mi sento a casa in questo crocevia di idiomi, dialetti e tradizioni tanto diverse tra loro.
Il 1° agosto del 1291 è considerata la data di nascita della Svizzera. Quel giorno, infatti, i rappresentanti dei tre Cantoni alpini, Svitto, Unterlvaldo e Uri, si incontrarono sul bel prato del Grütli, affacciato sul Lago di Lucerna, per giurare fedeltà alla Confederazione, con l’impegno di reciproco soccorso nel caso di minacce di aggressori stranieri, primi fra tutti gli Asburgo.
Dal 1891 il primo di agosto è stato riconosciuto ufficialmente Festa nazionale della Svizzera, che nel frattempo si è suddivisa in 26 Cantoni, diversi tra loro per lingua, densità di popolazione e conformazione geografica. Questa frammentazione potrebbe anche non essere definitiva, perché ancora oggi alcuni cittadini chiedono la fusione di certi Cantoni e vi sono comuni che vorrebbero addirittura cambiare Cantone. Quindi parlare di Festa nazionale può far sorridere ma trovo sia un buon pretesto per mettere da parte, almeno per un giorno, differenze e antagonismi e unirsi tutti sotto lo stesso cielo, che per l’occasione si trasforma in un tumulto di luci e colori.
Sì, perché oltre alle adunate pubbliche convenzionali e ai discorsi formali dei rappresentanti politici, è tradizione che il primo di agosto in tutta la Svizzera si sparino botti e fuochi d’artificio in grande stile. E questa usanza, al di là della sua spettacolarità, ha un suo significato storico. Infatti, secondo una leggenda del Cantone di Ginevra, per secoli è sopravvissuta l’abitudine di accendere grandi falò sulle colline e sulle montagne in tutto il territorio elvetico, di modo che i riflessi delle luci sui laghi spaventassero e mettessero in fuga le orde di barbari intenzionati a conquistare le tribù svizzere.
Effettivamente il gioco di specchi che l’acqua offre al cielo illuminato, la prima notte d’agosto, mi incanta ogni volta. Tutti con il naso all’insù, alle 22.30 in punto: dalle piazze austere delle grandi città, ai paesini di montagna appollaiati tra i pascoli, fino alla quiete accogliente delle sponde dei laghi. E sempre la tradizione vuole che quest’esplosione di allegria sia attesa per tutta la giornata con gaudenti grigliate nei grotti, le tipiche trattorie ticinesi, tra fiumi di birra e concerti che mescolano piacevolmente nell’aria sapori, suoni e voglia di divertirsi.
Lugano si veste di rosso quel giorno. Dai bianchi balconi di Piazza Riforma, immancabilmente ricamati di gerani, la bandiera nazionale saluta la città, donandole un aspetto svolazzante e ridente che sembra voler far dispetto al suo solito impeccabile ordine. Il lungolago, che sbocca tra i giardini di Parco Ciani, si anima di volti e voci, in un cocktail di idiomi che sconfina dal tedesco all’inglese, dal portoghese al russo, dallo spagnolo al cinese. Almeno per le lingue non ci sono frontiere e mescolandosi tra la folla pare che tutti siano d’accordo sulla voglia di sorridere e dimenticare distanze e appartenenze. Così Lugano ringiovanisce e mi sembra più simpatica quando mette da parte la sua immagine abituale fatta di banche, casinò, gioiellerie e night club, e offre invece la sua anima più semplice.
Ma non è solo la città che si trasforma. Ogni lido organizza la sua festa e già nel pomeriggio la quiete e il silenzio, che di solito qui regnano,  vengono stravolti da musica e canti di ogni genere, che si accavallano e giocano a rincorrersi con la loro stessa eco. Il lago solitamente immobile, su cui scivolo silenziosa al tramonto con il kayak, e che si sveglia al ronzio pigro delle barche dei pescatori, si popola all’improvviso di battelli carichi di turisti e di grossi motoscafi in attesa di gettare l’ancora per gustarsi i fuochi in prima fila. Questo è in effetti il modo migliore per godersi lo spettacolo, sia per evitare le lunghe code in auto e la gara per accaparrarsi un parcheggio, sia perché è una vera emozione trovarsi a fior d’acqua, direttamente sotto una pioggia di luci infuocate che paiono voler spegnersi su di te. E per chi non avesse la fortuna di farsi cullare da un motoscafo ci sono sempre i pedalò che, come minuscole coccinelle, svolazzano qua e là tra le luci ammiccanti gialle e verdi delle barche più grandi.
  
Ricordo che lo scorso anno un violento temporale ha rubato la scena allo spettacolo pirotecnico, cogliendo di sorpresa la folla intirizzita con una raffica di grandine. Ma la notte successiva tutto è andato secondo il copione, anzi devo dire che i fuochi sembravano ancora più belli dopo quell’attesa: un tripudio di rosso e bianco, a rievocare i colori nazionali. Non mi abituerò mai all’emozione che ogni volta provo davanti a quella cascata luminosa e all’esplosione che rimbomba ad ogni lancio dentro il mio petto, come a incitare il mio cuore a battere più forte.
E’ Campione d’Italia ad anticipare la festa con due settimane di anticipo, come una sorta di gentile omaggio al territorio che la accoglie. Il clima che si respira qui è completamente diverso rispetto a quello di Lugano: niente birra ma champagne, niente grigliate di salsicce ma ostriche a lume di candela, non rock e pop ma musica classica. Proprio la musica ha un ruolo fondamentale a Campione in quest’occasione, perché accompagna tutta l’esplosione dei fuochi. E’ come assistere a una danza di luci e colori, proiettata in un teatro stellato sull’onda di un’orchestra invisibile. La colonna sonora è una carezza che rende l’atmosfera ancora più suggestiva e per un attimo restituisce alla piccola enclave tutto il suo fascino, calando un sipario di poesia sul nuovo Casinò, quell’inguardabile scatola di cemento che incombe grigia sul lago e che somiglia più ad una prigione, quasi a voler rinchiudere paradossalmente il vizio in clausura.
L’indomani, a ricordare la festa, restano solo le zattere da dove si son sparati i fuochi, insieme alle solite immancabili polemiche sull’inquinamento e sulle spese, ritenute da molti eccessive per uno spettacolo che in pochi minuti finisce in fumo. Gabbiani e anatre, cigni e aironi cenerini tornano ad essere padroni indisturbati del loro regno, che cambia colore con l’umore del tempo. Il silenzio e la quiete restituiscono al lago il suo ritmo immobile, mentre le città si arrendono alla frenesia di ogni giorno, trasfigurate dai fiumi d’auto diligentemente in coda come tante formiche.
Insomma, se il mio sogno di bambina di trovare uno Svizzero che mi facesse provare i fuochi d’artificio non s’è avverato, poco male, perché quelli che accende per me ogni giorno un mio connazionale sono impareggiabili! Mi resta comunque il piacere di venire qui, a godere della pace e delle emozioni che questo piccolo paradiso a due passi da casa sempre mi regala.
La Svizzera è anche questo! 

lunedì 29 luglio 2013

Sex, pills and peppermint



In the end, everything got started from the offer of an Apple.
This was the first commercial in human history. The ability of the snake seller was not to waste time in praising the taste of the fruit, but to promise extraordinary power to those who would eat it.

Since then, besides media, not much has changed. “Let the dance begin” is, for instance, the winking message of a recent American commercial. In it, a romantically embraced couple on a beautiful beach invites people not to dance, like the message would suggest, but to acquire loving super powers by buying a sort of magical pill: Viagra!

Right, Viagra and his brothers, Cialis, Levitra & Co., revolutionized male sexuality, similarly to what the anti-conceptional pill did to female sexuality. The diffusion of these products worldwide is such that the initial use for necessity has been replaced by abuse for pleasure. In some American states, a special offer for loyal customers gives one box for free every seven box purchased.

The acceptance of this phenomenon, which should be faced more cautiously, encourages men of every age to use these chemical products to enhance their sexual enthusiasm, even when there is not justified necessity. A friend of mean, not very young anymore, but with a natural vitality of which people of my same age should be jealous, expressed his skepticism on this habit, which he sees as laziness and lack of self confidence, as well as a fraud towards women, who want to be responsible for the excitation of their partner’s, rather than a side effect. I agree with him, worried by the fact that such confidence would reduce fantasy, seduction and game. Still, several opinions, not only from males, support the notion that the blue pill is another story! No wasted time, no performance anxiety, no risk to swing and miss!

Psychologists and sociologists have much to say about this, and the topic should be treated with more detail. Now, I would only like to say that looking at the phenomenon from a possibly biased point of view, since I am a woman, patriarchal societies have obsessively adored virility and its symbols for centuries, thus testing men and, instead of confirming their “machism”, putting them in trouble. “Phallocracies” of all times, including ours in spite of the ever more apparent confusion on sexual ambivalences, have accepted all artificial erotic stimulants as true masculine myth, getting rid of the naturalness of the legendary Priapus.

Pills are only the most recent demonstration of the spasmodic quest for the perennial virility, since the study of aphrodisiacs, erotic brews and love potions is a millenary story, fascinating albeit often tragic. What are aphrodisiacs exactly?

According to the Greek mythology, Uranus, the Titans’ father, was castrated by his son Kronos, who threw the father’s genitals in the sea, thus unleashing tremendous waves. From the sea foam (aprhos in Greek) Aphrodite, goddess of love and Eros’ mother, rose to life. The word “aphrodisiac” comes from here, summarizing a concept rather than an object, and indicating a complex alchemy through which libido can be increased, with virility and pleasure.

Isabel Allende, master of magic and eros, describes aprhodisiacs as a “bridge between gluttony and luxury” in her seducing book Afrodita, where the lovers’ imagination is the key, like a tempting demon, absent which love would have no color or taster.

Nowadays, the chemistry of pills has replaced much of the psychological game played by imagination in the past. However, ancient alchemists of Eros had to face many issues, and they would have saved several lives and made men happy, had they know the Viagra or Cialis formula. They studied brews for centuries, going through approximations, confiding in nature with creativeness, intuition and fantasy, and thus leaving us the memory of many grotesque and intriguing anecdotes. Many aphrodisiac recipes actually survived to oral traditions and still surprise us, especially in light of the tragic destiny of many people and animals who were uselessly sacrificed. Some of these formulas are still used in some parts of the world, and continue to feed bizarre popular legends, without competing with modern pills.

It is well known how much a toad’s, Bufo, secretions have extraordinary euphoric and hallucinatory effects, maybe excitatory, but definitely fatal. Still, in some regions of Australia, it happens to hear of some hot-headed (probably without access to blue pills) who lick these big toads, and ending up at the hospital rather than in a love ecstasy.

Also the Spanish fly Cantaride, has a similar story. From it cantaridine was extracted and administered as one of the most diffused, powerful and dangerous love potions, for thousands of years. This substance was extracted from the dried body of Lytta vescicatoria, whose name was due to the fact that it causes skin eruptions and vesicles, which increase blood pressure in genitals, producing excitation, but also sorrowful episodes of priapism. It is similar to the effect of peppermint leaves on the most sensitive masculine genitals, according to a book I read from a young Cuban writer, Gutierrez, who is probably fond of mojito, whose magic touch is given by spicy little branches of “hierbabuena”, or mint. Although toxic and illegal, cantaridine is still sold in some countries with a false name, and it seems that its use is alternative to mint in Cuba.

Similarly, the bizarre habit to eat alive beetles, very common in South-Eastern Asia, or to eat triatomines, or kiss bugs, in Mexico, is based on the same legendary principles. In some Arab countries ambreine, extracted from the digestive system of sperm track, is used because it increases the concentrations of hormones, notably testosterone, thus inducing men to copulate intensely, innocently like rabbits. This is though a certified stimulant, also used to fix perfumes, and it was tested on rats in laboratory, making them true stud bulls. It is too bad that sperm whales are quiet animals at risk of extinction.

The more legendary myth from the vegetal world is that of absinth or “green fairy”. Since the Greek epoch this liquor extracted from the homonymous plant was considered erotic, although its toxicity in some versions was such that France, prohibited it in 1915, although it was the favorite drink of intellectuals and artists from Place Pigalle, since it was thought to evoke marvelous muses. It actually caused muscular and gastric spasms, and an excessive consumption brought to paralysis and even death, not before (maybe) conceding wonderful pleasures to those who drank it.

The Green Fairy has left a fascinating legacy in literature and art, especially in Decadent France, and its revival was allowed by the movie “Moulin Rouge”.

Asiatic Ginseng is healthier, although less spectacular. It directly acts on the central nervous system, and through it on genitals, thanks to the release of nitric oxide, like Viagra. Ginseng is also a natural product which improves physical performances and resistance to stress and aging, if used with moderation. Its virtues are apparently beaten only by “gingko bilboa”, the Chinese tree source of an extremely powerful anti oxidant, which improves blood circulation, memory and concentration. Neither needs medical prescription, while this is necessary for a similar natural stimulant, “yohimbina”, which comes from the yohimbé cortex.

All these natural substances, and several more, do not compete with Viagra, Cialis and Co., but have something in common with them: they exasperate the sexual vigor, only in males. Still, without inventing unlikely pink pills, I got to know that women too can benefit from a natural excitatory substance, the “L-arginine”, an amino acid from which nitric oxide can be derived: it seems that it is an effective regulator of smooth muscle tone, and of blood flow in all areas of circulation, including the most intimate ones...

Still, I am not an expert, and doctors, scientists, neurologists, psychologists can bring more competent opinions. I would go back to what Isabel Allende considers the essence of erotism both for men and women: imagination, the only true and free aphrodisiac without side effects, able to turn on our very first sexual organ, the brain!

I may be superficial but imagine a romantic dinner: the intimacy of candle lights, the soft music, his perfume, her whispers, eyes which meet, fingers which brush against each other, feet which touch, the wait for the conquer which increases the excitation with moderate decency...

If conversation is the sex of soul, like somebody said, the look is the petting and the courting at the table is for me one of the most powerful and healthy aphrodisiac concoctions of all times. Food is strategic because it nourishes body and desire too, without necessarily being sinful, like the Apple! Why not to play more often with your own lover, taking advantage of all natural stimuli arising from sharing tastes, smells, aromas, and using imagination to increase excitation, instead of surrendering to chemistry and science?

There are aphrodisiac foods per se, for substances they contain. More often, the aphrodisiac effect is due to allusive shapes, like with an oyster, which recall feminine intimacy, or the asparagus, which evokes the male intimacy. Other foods are considered aphrodisiac as a suggestion, like those animal parts which evoke the magic and little perverted idea of acquiring their virility, their brutal and primordial energy. Without the need to eat bull testicles or to spend tons of money in coquillage, it is easy to imagine an erotic menu with the simplest food: avocados, bananas, figs, grapes, almonds, apples, asparagus, cabbage, celery, artichokes, peppers and red pepper, eggs, cheese, chocolate, oil, wine, honey! All of them, without being snob or elegant, has an intimate aphrodisiac alchemy, able to turn on the erotic desire, if fed by imagination and its flame.

Believe it or not, one of the truly aphrodisiac food, thanks to its organoleptic virtues, is the main enemy of kiss: garlic. Garlic was considered erotic, sacred and tonic by Greeks, who recommended it to athletes before the Olympic Games. Today we know that allicin in the more intensely smelling cloves of garlic increases blood flow to genitals, thus intensifying the libido in men and women.

The problem is to counteract the unavoidable inconveniences. It is recommendable to share equally its consumption, and maybe at the end of the dinner, to have a couple of peppermint pastilles, before getting started with the dances. If a man were not really convinced and would not like to offer his partner a good plate of spaghetti with garlic, oil and red pepper, with peppermint drops for dessert, preferring the blue pill, he should at least remember the ancient fathers’ wisdom, which always recommended caution with all human things. As they used to say “Cum grano salis”, which might become, in a modern interpretation, “Cum grano cialis”. Well, Cicero would say: “O tempora, o mores!”

martedì 23 luglio 2013

Mare, olio e una capanna



Tempo fa mi era stato chiesto di raccontare quali fossero state le mie prime esperienze con ... l'olio. I primissimi ricordi sensoriali, olfattivi, gustativi e affettivi legati a questo alimento.
Ebbene, frugare nella memoria per recuperare queste remote sensazioni, mi ha riempito di tenerezza e nostalgia. L’immagine più antica che ricordo, infatti, è squisitamente biblica: una capanna e due figure dai nomi evocativi, Giuseppe e Maria!
Sembra un gioco di fantasia, invece è realtà.
La prima volta che ho assaggiato dell’olio, infatti, avevo circa tre o quattro anni e non mi trovavo nella mia casa, bensì in una capanna piuttosto semplice, arredata con qualche tavolo e delle panche di legno, appollaiata su una spiaggia praticamente deserta. Soltanto mare, sole e cielo. Mi trovavo nel nord-est della Sardegna, in quella che oggi è la costa più mondana e frequentata dell’isola. Tuttavia, allora (parlo di quarant’anni fa, ahimè!) non c’era nulla, solo il sibilo del vento, qualche villetta e tanti nuraghi sparsi qua e là tra le brulle colline a ridosso di un mare ancora vergine. Mio padre nutriva un amore sconfinato per quella natura nuda, un amore che ha poi trasmesso a me, tanto che per diversi anni ha scelto quel paradiso per le vacanze estive che, a quei tempi, duravano tre lunghi mesi. Per questo, colloco, tra i miei più bei ricordi, quel primo incontro con il mare e con i sapori di quella terra, tra cui l’olio.
Giuseppe e Maria erano cari amici di mio padre e la capanna sulla spiaggia, che rivedo ancora in ogni suo dettaglio, era un rifugio per pescatori, fatto di travi e paglia, affacciato sull’isola della Tavolara, dove si andava a pescare. Ma all’occorrenza, quel presepe pagano s’improvvisava in un’ottima trattoria gestita dalla coppia che consacrava il proprio talento agli avventori, offrendo il pesce appena pescato da lui, il formaggio di pecora prodotto da lei, quel pane croccante che canta, un vino color rubino e un olio pregno di vita, anch’esso frutto prezioso dell’amore per la terra di Sardegna. I miei ricordi aleggiano, così, tra profumi di aglio, triglie, agrumi, pomodori, rosmarino, mirto e alloro. Mi piaceva tutto, perché tutto sapeva di mare. Su ogni pietanza si versava poi quest’olio denso e dorato, stillato da una grande bottiglia in vetro, senza etichetta, chiusa semplicemente con un robusto tappo di sughero. Appena levato il tappo, dalla bottiglia fuoriusciva un profumo tanto intenso che sembrava di poterlo bere e, ricordo che Giuseppe con candido orgoglio ci invitava ad annusare prima di assaggiare, per non perderci niente di quel piacere. Naturalmente, è passato troppo tempo perché io possa raccontare con precisione le sensazioni gustative e olfattive di allora. Ma se oggi associo l’olio a quelle situazioni conviviali così piene di calore umano, di genuinità, della semplice bellezza di stare insieme, posso dire con certezza di avere ricevuto quello che oggi chiameremmo un raro “imprinting” sensoriale, affettivo e umano. Con un po’ di sforzo, potrei forse descrivere il sapore di quell’olio, tuttavia mi sembrerebbe di profanare la verginità di un ricordo condendolo di artifici, perché la partecipazione consapevole del gusto è venuta negli anni successivi, con un’educazione del palato attenta e progressiva.
Appartiene, invece, a quell’epoca ingenuamente felice un’altra impronta gustativa che ho ricevuto, stavolta, dal mare. Si usava, infatti, raccogliere molluschi d’ogni genere proprio sotto le rocce accanto alla spiaggia. Ce n’erano tantissimi allora e anch’io, insieme ai figli di Giuseppe e Maria, avevo imparato a scovarli, così per gioco, facendo a gara con loro a chi ne trovasse di più. Portavamo poi il cospicuo bottino sulla spiaggia, ai grandi. Lasciavamo che il calore del sole schiudesse lentamente i gusci serrati e poi, appena qualche mollusco faceva capolino con la sua lingua rosea, lo rubavamo al suo scrigno e con un vigoroso schizzo di limone lo gustavamo con una perversa soddisfazione dal sapore primitivo. Il resto del malloppo finiva, ovviamente, nelle pentole generosamente oliate di Maria.
Tutto questo non c’è più. La spiaggia oggi è un susseguirsi di lettini e ombrelloni colorati, sempre più rubata al mare e violentata da ville, villaggi e hotel. Il mare cristallino nemmeno si vede più, tappezzato com’è di motoscafi, yacht e panfili che hanno spodestato pesci, crostacei e molluschi. L’ultima volta che sono stata là in cerca della capanna, ho trovato al suo posto un vero ristorante, uno di quelli belli ma senz’anima, senza più il profumo d’aglio, di triglie, di mirto e alloro. Amaramente delusa, ho preferito non cercare Giuseppe e Maria, volendo custodire nella mia memoria l’immagine intatta di lui sulla sua barca di legno traboccante di pesce ancora vivo e quella di lei con il grembiule bianco e le mani odorose di buono.
Anche quell’olio di Sardegna non c’è più. Ce n’è forse di migliore, imbottigliato con tanto di etichetta ricamata e con tutte quelle indicazioni necessarie a sedare ogni eventuale diffidenza. Allora, era più semplice: bastava la fiducia in chi lo produceva. Mi viene in mente, a proposito di semplicità, una delle metafore più antiche e comuni che, guarda caso, ben si sposa con questi miei ricordi fanciulleschi. “Oggi il mare è liscio come l’olio”, si dice spesso, per suggerire l’immagine di quiete, di accoglienza e di buon auspicio, quella stessa mite accoglienza che ricevevo anch’io da piccola in quella capanna in riva al mare.
Oggi, quel sapore antico di olio resta scolpito solo nella memoria dei miei sensi, insieme all’amore per la natura e per le cose buone. Cose semplici, appunto, che sento ancora scorrere dentro di me, quasi fossi irrimediabilmente la tenera bambina di allora.

lunedì 22 luglio 2013

Dove l'Uva è Cultura




Quest’anno si celebrano due eventi memorabili, apparentemente slegati tra loro, eppure entrambi culturalmente significativi. Tanto che è stato possibile intrecciarli in un originale dialogo creativo aperto al pubblico.
Il primo riguarda i 150 anni del Gruppo Bayer, il secondo si riferisce al bicentenario di Giuseppe Verdi. Uno sposalizio tra scienza e arte, dunque: due universi che attraverso linguaggi differenti esaltano il genio e la fantasia dell’intelletto umano.
Tra le tante iniziative dei festeggiamenti del Gruppo, Bayer ha sostenuto la manifestazione ‘’La Lirica a Noicattaro’’, una rappresentazione dell’Aida di Giuseppe Verdi, per la prima volta messa in scena il 15 e il 17 luglio a Noicattaro (BA), una piccola cittadina accoccolata tra mare, ulivi e viti. In realtà, questa è la quarta edizione di Lirica a Noicattaro (promossa dall’Associazione Noicattaro Nerazzurra) che, forte del successo delle precedenti Tosca, Traviata e Boheme, ha deciso di cimentarsi in una delle opere più monumentali in assoluto. L’Aida, infatti, è tra le rappresentazioni più impegnative per scenografia, costumi, comparse e tempi molto lunghi, e ha pertanto coinvolto per un intero anno gli abitanti della cittadina pugliese trasformandoli per l’occasione in veri e propri artisti professionisti.
La particolarità è che molte di queste persone, nella vita, partecipano a un’altra importante messa in opera: quella dell’uva, specialmente dell’uva da tavola, prodotto principe di questa zona. L’uva da tavola, infatti, è prodotta principalmente in Puglia e fa dell’Italia uno tra i primi tre Paesi esportatori al mondo e il primo a livello europeo.
Il forte legame fra Bayer e i produttori pugliesi – già confermato da precedenti iniziative quali il progetto “Magis uva da tavola”, il cortometraggio “Si fa presto a dire uva” e il volume “L’uva da tavola” della collana editoriale Coltura&Cultura – è stato coronato ora anche sul palcoscenico. La scelta dello spazio in cui ambientare l’Aida dimostra un’ulteriore volontà a valorizzare il territorio: l’area della vecchia stazione ferroviaria di Noicattaro è stata completamente reinterpretata e resa accogliente con oltre 1500 posti a sedere, di fronte a un palcoscenico all’altezza di un’autentica Arena, sotto un cielo trapuntato di stelle degno del primo applauso.
Giacomo Suglia – Presidente dell’Associazione Produttori Esportatori Ortofrutticoli – presente in prima fila accanto alle maestranze di Bayer, sottolinea che “anche l’uva, come la lirica, è Cultura. Questo è infatti il nostro slogan: Dove l’uva è cultura! Ed è importante conoscerla per apprezzarla. Per quanto riguarda la lirica, ci sembra giusto offrire a tutti la possibilità di ‘gustarla’, in uno spazio creativo adatto non solo a fini intenditori abituati a La Scala o all’Arena ma a un pubblico più ampio e curioso, che voglia avvicinarsi all’Opera con semplicità. La presenza di Rai 3 ha confermato l’interesse generale per l’evento dando un motivo d’orgoglio in più a tutti i cittadini che si sono prodigati in questa gigantesca opera. Inoltre – conclude Giacomo Suglia – questa è un’occasione per ribadire che la nostra uva, come la musica e l’arte in genere, è una ricchezza inestimabile che supera ogni campanilismo: è l’uva di tutta la Puglia, non di ogni singolo paese, a far parlare di sé per la sua grande qualità. Ricordo, infatti, che la nostra regione è la sola finora ad avere ottenuto il marchio IGP Uva da tavola a livello regionale, e non provinciale, e questo è per noi un vanto.”
Le due serate della rappresentazione lirica hanno dato ragione a queste parole. L’Aida di Noicattaro è stata un successo grazie a: l’orchestra della Provincia di Bari, diretta dal maestro Giovanni Rinaldi; il direttore degli allestimenti, Damiano Pastoressa; il folto cast, con Adriana Damato (Aida) e Lorenzo Decaro (Radamès) in primo piano; la regia, del talentuoso Lev Pugliese; il corpo di ballo di Attitude; e tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione delle scenografie, delle coreografie e dei costumi.
I quattro atti sono stati accompagnati da dolci assaggi di uva da tavola, offerta a tutti dalla consueta ospitalità dei cittadini pugliesi, oltre che da una luna gravida di luce, complice del solenne evento. Al termine dell’opera del 17 luglio, tutta Noicattaro ha voluto festeggiare l’importante presenza di Bayer con una torta dedicata ai suoi 150 anni e un effervescente brindisi condiviso tra attori e pubblico, frutto naturalmente delle preziose uve pugliesi.
Un finale degno di Verdi, appassionato tanto quanto l’intera Opera, che ha reso l’uva regina della notte e Noicattaro regina della lirica. 

mercoledì 10 luglio 2013

L'insostenibile bellezza del silenzio



Un bouquet di Natura, Storia e Sapori nel cuore incontaminato dell’Isola d’Elba

Forse Napoleone elesse l’Isola d’Elba quale meta della sua condanna con la segreta speranza di rendere più dolce l’amaro esilio. Esistono, tuttavia, altri modi oggi per assaporare il privilegio d’isolarsi dal resto del mondo senza rinunciare ai piaceri della terra.
I “Relais du Silence” offrono quest’opportunità. Appartengono alla leggendaria catena d’hotellerie francese che risponde a specifiche esigenze strutturali: un livello medio-alto dalle 3 alle 5 stelle; piccole dimensioni mai oltre le 50 camere; una personalità originale, come case padronali, castelli e masserie immerse nella natura; una ristorazione che esalta i prodotti del territorio. Questi semplici requisiti basati innanzitutto sull’eco-sostenibilità trasformano un banale soggiorno in una vera e propria filosofia di viaggio il cui motto è “staccare la spina e far parlare i sensi”.
L’Isola d’Elba propone due soluzioni di Relais du Silence.
L’Hotel Sant’Andrea sorge in località Marciana. Accoccolato su un rigoglioso promontorio, l’albergo si tuffa nelle acque cristalline della spiaggia sottostante celebrando lo sposalizio tra terra e mare. E’ un piccolo angolo di paradiso dove la natura declinata nelle sue mille sfumature fa da controcanto alle infinite voci delle emozioni. Il segreto del fascino di questo resort è la complicità tra la ricchezza naturale e la professionalità della Famiglia Garbati che lo gestisce. L’attenzione per i dettagli all’interno della struttura, riproposta nelle 18 camere (tra cui due con giardino adatto ad animali domestici), evoca un’atmosfera romantica che degrada dal blu indaco delle viole al rosa acceso delle orchidee. Tutt’attorno profumi di rosmarino, timo, ruta e santoreggia esaltano i sensi e anticipano i piaceri del palato. La cucina è il fiore all’occhiello dell’Hotel, grazie al talento del Signor Garbati, Chef d’eccellenza che senza artificiali alchimie seduce gli ospiti con ineguagliabili virtuosismi gastronomici. Ci si può abbandonare alle sue delizie senza timore d’accumulare peso, perché l’Hotel organizza escursioni sul Monte Capanne, uscite in barca dalla spiaggia raggiungibile in 5 minuti di navetta e massaggi ayurvedici alla brezza dl vento. Speciali formule all inclusive completano le proposte di un soggiorno assolutamente desiderabile anche per l’eccezionale rapporto qualità e prezzo che fa sentire il cliente come a casa propria.
Una delle più recenti new entry italiane nella catena Relais du Silence è la Tenuta delle Ripalte, situata nel contesto incontaminato di Capoliveri, di fronte alle isole del Giglio, Montecristo e Pianosa. La Tenuta appartiene alla famiglia Ederle che insieme ai 450 ettari di pini, frutteti e vigne ha sfruttato la bella villa ottocentesca dei marchesi Tobler-Theodoli-Quintavalle. Sapientemente restaurata, la dimora è oggi un boutique hotel di sole 10 stanze spartanamente arredate, circondato da circa 50 appartamenti e alcune spaziose ville che il Direttore Riccardo Pironi dà in gestione durante l’estate. Per vivere più da vicino l’avventura della natura, sono invece a disposizione 10 tende dotate dei necessari comfort. Il teatro naturale è completato da una cantina ideata dall’architetto Tobia Scarpa, armoniosamente calata nell’ambiente, che trasforma in nettare i frutti delle vigne; un ristorante con piatti tipici della gastronomia toscana e internazionale; il ristorante Calanova poco lontano, direttamente sul mare; piscina; centro d’equitazione; bike e tennis. Vi è inoltre la possibilità di praticare attività marine presso le splendide spiagge di Remaiolo e Calanova a circa 4 Km., raggiungibili attraverso i sentieri che si snodano tra le vigne o con una navetta. Soggiornare alla Tenuta delle Ripalte significa immergersi totalmente nella pace della natura, poiché la strada che conduce qui è scoraggiante per il grande turismo e l’assenza di televisione e rete wi-fi nelle camere seleziona automaticamente la clientela. Un esilio certamente non è, tuttavia qui il silenzio è assicurato.
 

BOX

“Relais du Silence“ nasce nel 1968 e sposa una filosofia di turismo basato su tre elementi essenziali: rispetto per l’ambiente naturale all’insegna del relax; stile personalizzato, elegante e confortevole; gestione tendenzialmente familiare dove i proprietari seguono personalmente gli ospiti facendoli sentire a casa propria. Questo è pertanto un concept d’accoglienza diverso da tutti gli altri, poiché rispetta innanzitutto la dimensione umana della vacanza.
Mai un relais è uguale all’altro. La diversità delle architetture, della locazione e delle categorie (da due a quattro stelle) ne fanno una famiglia dal fascino unico.
La catena nata in Francia si è progressivamente diffusa in tutt'Europa, selezionando fra i suoi soci case patrizie, ville, castelli fattorie, mulini, antichi alberghi di posta e chalets : tutti diversi ma tutti egualmente seducenti, all’insegna del silenzio e dell’ascolto della natura e della persona.

martedì 9 luglio 2013

Smell is a sensual sense



In high school there was a time when I got fond of Heinrich Böll. Also literary passions follow season and today I would not feel the same emotions I felt back then. Still, there is one novel from Böll who remained impressed in my mind. The title is “Opinions of a Clown” and I remember that after reading it in my still bad German, I read it better in Italian.

It is a rather melancholic story lasting for only three hours. I was inexplicably fascinated by the idea of squeezing so many reflections, expressed over some hundreds pages, in so few minutes. The story per se is static, with no action, but full of emotions, deeply nostalgic and leaning towards a depressive spirit that still attracts me in an almost morbid way.

The protagonist is Hans Schnier, a young clown from Bonn who locks himself in his apartment following the umpteenth social failure, and surrenders to a painful and self degrading self pity. He goes mentally through his disappointments and frustrations, to which he feels to be condemned forever. The most painful is the deep romantic setback with Maria, whom he loved and lost, because of the attraction of a bourgeois world which she felt much more attracted to than a sad circus tent. Hans can just seek refuge behind is colored mask, without any hypocrisy and let himself be surrounded by suffered memories, while indulging to an emotive decadence in a vicous alcoholic circle. I still have the final image of the novel clearly printed in my mind: a grimace of make-up against the grey of a sidewalk, with his collar up and his hat in hands, to beg for smiles…a sad clown, grotesquely camouflaged in an equally sad carnival.

The book is actually rich in social implications which can help to judge. However, what attracted me most and still fascinates me today is the psychological underground and un expected quality of the miserable clown. Hans had the mystical prerogative to smell through the telephone. When he took the phone in his desolate flat, Hans not only heard a voice, but also smelled perfumes, aromas and scents, a mix a mix of absolutely intangible fragrances, impossible to transmit and to distinguish even in presence of the source itself. It seemed to be a nonsense, a paradox, that a young man who relinquished to enjoy life could grasp in such a way the essence of life itself, the primordial and animal signs of existence: scents!

The smell is a suave, elusive, sensual, powerful and involving sense, right because of its pheromonic action which seduces and inadvertently induces.

This painting like image of Heinrich Böll’s novel is even more attractive today, after amassing knowledge in psychology and neuroscience. I am attracted to the bizarre idea that, maybe, somebody can actually live this sensorial experience. Somebody with such a refined and sensitive sense to be able to decipher codes in the air, which are not perceivable by most, even at kilometers of distance and through complex technological tools. Maybe, if such a sense existed, it would not just pertain to the olfactory sense, but to a more complex and intricate neural network, where manifold sensorial organs would be entangled, including neurons, neurotransmitters, synapses, and who knows what else…

And I ask, then, if also the pronounced world, beyond the written one, can transmit scents, which can be perceived by people who are particularly gifted with this receptivity?

The question is not that mischievous. It could happen that an email or facebook message, would release smelling particles in the air from the monitor: tobacco, coffee, chocolate, jasmine, sandalwood, mandarin, mint, cinnamon, all through the communication transmitted from far away, and by means of a meaningless keyboard, projected in a wall of pixels, which can divide bodies but unify souls, as a hypnotic virtual veil.

I confess that this happens to me, at times, and I am sure it happens to some of you too! It happens that you read messages and smell scents which fills the atmosphere, or sharp aromas, or bubbling perfumes, all coming from the vortex of written words and rhythmical prose.

If this a seventh or tenth sense, an ingenuous suggestion of the mind or a magic charm of the heart, I do not know. Still, I know the fascination of following sensations towards a shared, more tangible and less virtual “elsewhere”. A dimension beyond logics and reason, aimed at capturing the soul of a person who writes to us from far away, with kindness, passion, irony, desire, embarrassment, excitation or love. Written words transmit the scent of the writer much more than a voice in a telephone or headset. This scent can change your mood and it can be imagined and shared if we learn to “feel” through the heart.

A lightly honey scent accompanied this lazy fall day, a day which appeared colorless but suddenly acquired a taste. I do not known if this is thanks to the memory of a novel of my youth, or some lines which came unexpectedly out of my monitor…but this was a sweet and growing olfactory “intoxication”, which is still lively and that I would like it to never disappear.

If some smell sensitive soul, like me and poor Hans, happened to read my delirious lines, I would understand if he turned up his nose at this absurdity! However, he should not worry about bad smells: my words would just leave an innocent a candid talcum underground scent with a vanilla aftertaste, mixed with a bit of fire red pepper, to stimulate the slightly honey scent which still lingers languidly between nose, head and heart…

domenica 7 luglio 2013

Fruits & Vegetables, the colours of beauty



Schopenhauer used to say that “nine tenths of happiness are based on health. 
Through it, everything is source of pleasure”.
What did he mean for “health”? And what did we mean today for this word, which has articulated its meaning over the centuries in proportion to the complexity of society? If health was synthetically meant to be absence of disease, today this concept is way more sophisticated. It is preferred to talk of wellness to mean not just the health of the body, but also the psychological well being of heart and mind. 

The well being starts at the table and this assumption, typical of the Western mentality, has resisted since Hippocrates, when the doctor was, incidentally, first and foremost a food expert. If it is true that we are what we eat, it is also true that our body, made of muscles, skin, bones, fibers, blood, cells, molecules and atoms, is the result of a possibly healthy eating style. The same is metaphorically and poetically true for our heart, as the synthesis of mood, emotional and social states. And it is even more true for our brain, which is not only a chemical and electrical device, but also a thinking engine which translates energy in reasoning, emotions, wishes, memories and dreams.

Therefore, The organic concept of health, focused on quantity and substance of inputs we ingest and digest, is today integrated by a more spiritual and holistic concept, based on quality, hidden virtues and intrinsic properties of these inputs. The Western idea of health is then interconnected with the Eastern one, which emphasizes the harmony between body and environment, Mankind and Nature, embraced in a continuous exchange where nothing is lost, but everything is renewed and transformed, with a contemporaneous modification of both the human being and his environment.
Still, one of the simplest and most satisfactory experiences of existence (with love and sex!) that is eating, is a source of ever growing worries, concerns, doubts and frustrations, rather than pure pleasure. It is maybe because of an often imprecise information, which creates confusion and anxiety instead than clarity and good mood through its contradictions and exploitations.

As a good vegetarian, I personally feel good with myself, in excellent psycho-physical shape and in harmony with Nature. With this, I do not mean to propose vegetarianism as the absolute philosophy of healthy feeding, because I am convinced that thre are no perfect nutritional recipes, that everybody can accept. Moreover science, including food science, is in continuous evolution, like a flame which constantly burn. When a spark ignites a new hypothesis, another spark is created somewhere else at the same time, ready to unleash an even more powerful fire. No authority can completely convince an individual or society that a nutritional thesis is completely right, because the final judgment on what is good and healthy comes from the psyche and sensorial perceptions of each of us. Still, we need parameters and references to point at the way without risking losing the direction. 

I have never been able to distinguish a cute veal who pastures quietly in the grass and a smoking rare cooked steak in a plate. I have always felt instinctively attracted to the fruit and vegetables from my garden, since this has been my food imprinting. My taste come from this. Obviously, when I go for my grocery and look for fruits and vegetables, I am spontaneously suspicious of the labels and indications of so-called natural products, which create me more embarrassment rather than confidence.

The language sometimes complicates things and emphasizes distances between an object and the awareness of it. I think that the vocabulary which is used to define the “goodness” of food is symptomatic of this new holistic conception of health. Today a food is considered healthy if fresh, pure, virgin, light, anti-oxidant, vitamin rich, de-intoxicating, depurating, energizing. All these attributes are intangible and invisible, but are related to concrete benefits, which can be understood more through confidence than reason. 
Fruits and vegetables should be symbols of a clean and transparent eating style, which makes us feel good by definition. However, a different terminology comes into play to complicate the issue: biologic and transgenic, for instance. These words are like mirages or ghosts on the shelves of supermarkets or in the colored baskets in markets or even on our tables, and they deceive or trouble us, rather than orient us in our choices.

I am not enough of an expert to give recommendations and sure information, because of my often contradictory and debating reads. However, I try to keep myself informed, and I believe we all have the duty to gain deep information on these themes, without getting too enamored of a philosophy, or ideological flag, but keeping constantly receptive and open to dialogue, without indulging in malignant and sterile debates. Scientific discoveries, also in the field of food science, are often appreciated after very long times, which cannot be foreseen in the present or immediate future. 

Goethe once said: “We know when we know little, indeed. The doubt grows with knowledge”. It is so true! A sure and wonderful thing is that Nature at work is amazing, both at microscopic and macroscopic level, both in the good and evil because Nature potentially comprehends everything, with no need for artificial solutions and corrections. Did you ever ask yourself (back to my love for vegetables) why fruit and vegetables have such captivating colors? No matter if you believe in God, in evolution, or simply in randomness, the beauty of vegetables is an incredible example of the Nature wisdom and the relationship between color and health is scientifically proven.

The color of vegetables comes from a variety of chemical substances, the anti-oxidants. Plants express their beauty with their colors: they capture the energy of the sun and convert it in life through photo-synthesis, which modifies energy in sugars and carbohydrates. the process is put in action by the exchange of electrons between molecules, which makes photo-synthesis similar to a nuclear reaction. 

Anti-oxidants are colored because the chemical properties allow to absorb electrons and to create visible colors. So, the carotenoids appear yellow thanks to beta-carotene (as in the pumpkin) red because of the lycopen (tomatoes), orange because of cryptoxanthin (oranges) and so on. Some anti-oxidants are colorless, such as ascorbic acid, or vitamin C, and vitamin E, because they act in more hidden parts of plants, where protection from electrons is necessary.

The action of anti-oxidants fights free radicals, which cause the ageing of organisms. Human beings are not able to produce natural shields against free radicals. We are not plants, and thus we are not able to produce anti-oxidants through photo-synthesis. We acquire them from vegetables, since they act in harmony with our organism and release their good content of irreplaceable substances. Hence, I like to think that vegetables look so beautiful colored, attractive and sensual to stimulate our senses and be useful for us, other than tempting.

In conclusion, being informed is fundamental to gain orientation, through a critical spirit, able to discover precious concepts among books, magazines and websites which fast update us on food, in order to avoid being hypnotized and deceived. Cautiousness is necessary in communication and listening, but being curious and hungry for knowledge is always essential. We live in wellness, but being not well informed can put us at risk. 

Maybe a correct and honest information could add that missing component of happiness that is mentioned by Schopenauer in the aphorism which was the beginning of all these considerations. 
For sure, the wise philosopher would have agreed with a great actor such as the late Massimo Troisi, who exchanged these ideas with his companion of adventure in the movie “Ricomincio da tre”:
She: “Why do you mind about the others? When there is love, there is everything…”
Troisi: “No, that’s health!”

martedì 2 luglio 2013

York: dove passato fa rima con presente



Storia e leggende, cultura e mondanità nella città più cosmopolita dello Yorkshire

Se è merito del mitico Harry Potter aver reso celebre lo Yorkshire con le sue campagne profumate di lavanda e fiorite di misteri, sono i secoli di storia a rendere York una delle città più affascinanti d’Inghilterra. Crocevia culturale e artistico, York – raggiungibile dagli aeroporti di Manchester e Leeds - è emblema della convivenza armoniosa tra passato e presente. Un gioiello architettonico e urbanistico in cui le conquiste degli antichi condottieri si sposano con quelle dei moderni conquistatori: i giovani studenti che ogni anno approdano qui da ogni parte del mondo per frequentare le tante scuole della città, rinomate per rigore ed eccellenza.
Gocce di storia
I Romani la chiamavano Eboracum, i Sassoni Eoforwick e i Vichinghi Jorvik. Tre popoli che si succedettero facendo di York il più potente quartier generale del Nord. Per secoli la città restò la seconda più importante d’Inghilterra, dopo Londra, quale porto fluviale prosperoso e appetibile da commercianti e conquistatori. L’irruente invasione vichinga avvenne circa 450 anni dopo il ritiro delle truppe romane, la cui impronta resta viva nell’atmosfera dell’intera città, in un fascinoso intreccio tra sacro e profano. Con l’arrivo di Guglielmo il Conquistatore nel 1068 e l’edificazione della prima chiesa normanna, York restò per tutto il Medioevo la città più florida dell’Inghilterra settentrionale, grazie al fiume Ouse che favorì il commercio e il diffuso benessere economico. Molti edifici medievali e tudoriani sopravvissero alla Riforma e alla Guerra Civile e quando nel XVIII secolo York perse il predominio assoluto di città portuale, acquistò importanza come centro commerciale e culturale. Nel XIX secolo, con l’avvento della ferrovia e delle fabbriche di cioccolato – Terry’s e Rowntree – York risorse con nuovo vigore e oggi il suo fascino seduce chiunque, raccontando non solo le prodezze di una città ma dell’intera Inghilterra. Per questo il turismo che interessa York non corrompe la sua anima ma, al contrario, asseconda e alimenta il fervore culturale che la contraddistingue.


Nel cuore della città
I cinque chilometri di mura circolari, interamente percorribili, furono costruiti dai Romani e cingono York come un simbolico abbraccio, quasi a voler proteggere il suo cuore antico dalla veste più moderna. All’interno, York Minster – la Cattedrale gotica edificata a più riprese dal 627 e pensata per sfidare quella di Canterbury – domina la città con le facciate in pallido calcare, le cui guglie sembrano matite appuntite che scrivono in cielo del tempo che fu. Accanto alla Cattedrale e alla Cappella di St. Michael, la statua di Costantino, assorto nella sua tunica purpurea con la spada in mano, pare sorvegliare il passaggio dei viandanti di fronte alla famosa Colonna romana. Fu proprio qui che Costantino divenne il primo Imperatore cristiano, facendo della Cristianità la religione ufficiale dell’Europa occidentale. La denominazione di York Minster, infatti, è “Cattedrale della Chiesa metropolita di San Pietro di York”, a indicare il suo ruolo nell’insegnamento della fede cristiana.
Camminando per York si ha la sensazione di esplorare lo scorrere del tempo, perché è la cultura il filo rosso che tesse la trama della città. Stonegate e Petergate, le due strade più mondane, scorrono esattamente dove nacquero 2000 anni fa, quando si chiamavano Via Praetoria e Via Principalis. Molti nomi di strade e piazze derivano dall’etimologia vichinga oppure evocano i personaggi che hanno animato la città. St.Helen’s Square, ad esempio, è la piazza dedicata a Sant’Elena, madre di Costantino, e ospita anche una chiesa eretta in suo onore.
Oltrepassando Bootham Bar – la più antica delle quattro porte delle mura – si raggiunge in pochi minuti Coppergate, una delle principali aree per gli acquisti la cui superficie nasconde un passato glorioso: è qui infatti che fu fondato il centro di Jorvik, 1100 anni fa. Tra vicoli, piazze e snickelways (strettoie) York si rivela ai visitatori in tutto il suo misterioso fascino: da Stonegate al mastio di Clifford’s Tower, da King’s Square a Swingate, da Coffe Yard agli Shambles. Quest’ultimo quartiere è particolarmente seducente: il termine “shambles” significa “disordine totale” e deriva dalla denominazione antica di mattatoio. Qui, infatti, sorgevano le botteghe dei macellai e sono tuttora visibili i canaletti che consentivano al sangue degli animali appesi di scorrere via lungo la carreggiata. Anche gli scaffali in legno (shammels) sui quali veniva esposta la carne macellata sono integri. Tuttavia, passeggiando per gli Shambles si ha una sensazione surreale anziché truce: le case sono irregolarmente inclinate e appoggiate leggermente l’una sull’altra, come a sostenersi contro l’inclemenza del tempo. Colori pastello e linee morbide infondono la sensazione di trovarsi nella favola di Hansel e Gretel, dove ogni mattonella sembra fatta di panna, zucchero e cioccolato. Cibo vero si trova invece accanto agli Shambles, nel Gate Market, il mercato della città, traboccante ogni giorno di frutta, ortaggi, carni, pesci e dolci.
Un susseguirsi di Musei e Parchi completa il panorama culturale di York che può arricchirsi con una piacevole gita in barca lungo il fiume Ouse.


Curry, zenzero e cioccolato
Quando visiterete York munitevi di buon appetito e scordatevi i soliti fish and chips britannici. Le tentazioni squisitamente locali non mancano: dal Yorkshire pudding alle personalised pork pie (torte salate al maiale personalizzate), dalla Cheese cake al cioccolato alla menta. Tuttavia, York ingolosisce soprattutto per la straordinaria scelta di sapori multietnici, tanto che risulta  difficile decidere tra ristoranti indiani o giapponesi, malesiani o cinesi, spagnoli o turchi o, perché no, italiani. La cucina indiana, in particolare, vanta una tradizione antica che si respira camminando per i vicoli di Swingate profumati di curry e speziati di zenzero. Divertente è il contrasto aromatico emanato dai vapori di kebab e bacon and eggs, dagli effluvi di the e tisane, o dai dolciumi minacciosamente burrosi. Anche vegetariani e vegani troveranno bistro dedicati a loro. Mentre per gli amanti della dolcezza, imperdibili sono due appuntamenti: da “Betty’s” in St.Helen’s Square, storica pasticceria in stile art decò nota in tutto il mondo, e da “York’s Chocolate Story” in King’s Square, dove il cioccolato si fa opera d’arte. “Caffè Nero” offre invece, in più punti della città, l’unico caffè espresso degno di questo nome. E per smaltire i chili in eccesso, nessun problema: il cuore di York è circondato da parchi e giardini in cui è possibile dedicarsi a jogging e stretching immersi nella quiete.
Anche le notti a York sono una piacevole sorpresa, ravvivate da musica live nei numerosi pubs disseminati negli snickelways. Vale la pena quindi soggiornare in uno dei tanti economici Bed & Breakfast o Guest House, anziché nei costosi Hotel, per risparmiare un po’senza rinunciare all’accoglienza e vivere pienamente tutta la vitalità della città.


Curiosità … fantasmagoriche
Dig: Il York Archeological Trust nel 2006 ha aperto un centro archeologico per turisti, nei pressi della Chiesa di San Salvatore. Qui i visitatori possono munirsi di cazzuola e contribuire a scavare (dig) per scoprire sotto lo strato superficiale della terra altri strati di storia e misteri.
Whip-Ma-Whop-Ma-Gate: E’ il nome della strada più breve di York, stretta tra Pavement e Stonebow ed è anche il luogo in cui le persone nel Medioevo venivano fustigate pubblicamente, almeno così la leggenda vuole. La provenienza del nome è assai incerta ma la traduzione significa pressappoco questo: E la chiamereste strada, questa?
York Dungeon: Nella York medievale se non si rigava dritto si rischiavano efferate torture fino alla morte. Nelle segrete di Clifford Street sono ancora esposti strumenti per marchiare, ustionare, decapitare e annegare persone ritenute colpevoli di reati anche minimi e involontari.
Printer’s devil: La strada di Stonegate era in origine rinomata per le sue tipografie e librerie. Sotto le grondaie del n.33, oggi appare accovacciato un diavoletto rosso a ricordare l’epoca in cui la composizione a caldo per la stampa veniva eseguita da ragazzini chiamati ‘devils’,  diavoli appunto.
Haunted: Ovvero, ‘abitata dai fantasmi’. York ha anche la fama d’essere una delle città inglesi più infestate dai fantasmi. Chi avesse il desiderio di togliersi ogni dubbio, può seguire uno dei tour guidati dai Ghosts Hunts (cacciatori di fantasmi), oppure avventurarsi in un face-to-face da brivido col fantasma che si dice abiti il n. 35 di Stonegate.
Le oche di York: Sulle acque e sulle sponde del fiume Ouse abitano frotte di oche che con i loro buffi richiami scompigliano la quiete della città. Non è raro imbattersi in intere famiglie di pennuti anche sulle strade che portano alla Clifford’s Tower, incuranti del traffico e della gente, quasi fossero loro in realtà i sovrani di York.
Infine, una personale considerazione: che a York il passato faccia rima con il presente è evidente non solo nel profilo urbanistico ma anche in quello umano della città. York, infatti, è tanto giovane per via dei numerosissimi studenti, quanto longeva per via di un tenore di vita eccellente e fa piacere veder circolare, accanto a giovani ciclisti, anche molti anziani a bordo di mini moto elettriche, animati da un’invidiabile ridente vitalità.
Anche questo fa di York una città accogliente, dove non si mescolano solo i confini etnici e culturali ma anche quelli anagrafici e sociali.
Che sia un’altra delle magie di Harry Potter … ?

(Su Mete d'Italia e del Mondo)