venerdì 29 marzo 2013

Le evoluzioni




Spesso, nel corso della vita, donne e uomini evolvono in maniera diversa.
Le donne cambiano, senza bisogno di cambiar uomo.
Gli uomini cambiano donna, senza riuscire a cambiar se stessi.

giovedì 28 marzo 2013

Verde brillante



Le piante sono intelligenti?
Certo che lo sono. 
Le piante sono creature dotate di straordinarie facoltà e profonda sensibilità, infinite virtù che nulla hanno da invidiare all’intelligenza animale e umana, se rapportate alla loro sfera vitale.
Un libro di Stefano Mancuso e Alessandra Viola appena pubblicato conferma secoli di riflessioni rimaste, tuttavia, pressoché misconosciute o sottovalutate riguardo la genialità del mondo vegetale. Il libro s’intitola “Verde brillante” è edito da Giunti e lo consiglio a chi come me intuisce la preziosità di creature apparentemente semplici, in realtà follemente complesse e, soprattutto, indispensabili alla nostra stessa vita.
Infatti, le piante potrebbero benissimo vivere senza di noi, com'è stato all'origine dalla vita sulla Terra, mentre noi esseri umani e animali senza di loro ci estingueremmo in breve tempo. Eppure persino nella nostra lingua, espressioni come “vegetare” o “essere un vegetale” alludono a condizioni di vita passive, tristi e mortificate.
Quando mai! “Vegetale a chi???” Ecco, se le piante potessero parlare, sarebbe forse questa la prima domanda che ci farebbero. Ma se le piante davvero potessero parlare, saremmo noi a dover umilmente interrogare loro e, di certo, il mondo sarebbe finalmente migliore!

domenica 24 marzo 2013

Ciclicità



Studiare il passato
spesso aiuta a capire il presente
mai a garantire il futuro.
E’ questa
l’inconsapevole ciclicità dell’Essere.

martedì 19 marzo 2013

Penombra



A volte si confondono le ossessioni con le passioni.
Le prime accecano, le seconde illuminano.
Occorre la giusta penombra 
per imparare a guardare.

mercoledì 13 marzo 2013

Lacrime e sorrisi



Questa sera è come se il mondo intero si fosse trasformato in un unico, grande, ideale bambino. Un bambino ancora capace di emozionarsi, di fremere, di sentire e di sperare riscoprendo il piacere del pudore e della verità.
Credenti e non credenti, tutti abbiamo fame di un candore che abbiamo a lungo dimenticato, tutti abbiamo voglia di togliere la maschera e mostrare con orgoglio la bellezza della nudità. 
Perché l’anima è nuda.
Ecco, questa sera sembra che questo unico, grande, ideale bambino che è il mondo abbia dopo tanto tempo riaperto gli occhi a una nuova vita e si sia ritrovato finalmente denudato di brutte vesti, pronto a indossarne di migliori. 
Vesti bianche, semplici e pulite, offerte da una mano gentile, tra una lacrima di gioia e un sorriso di nostalgia.

sabato 9 marzo 2013

Sapori e dissapori dai fornelli alla Tv



Le astuzie psicologiche della televisione gastronomica, tra seduzione e mortificazione d’intramontabili appetiti

Sono passati quasi quarant’anni da quando andò in onda la prima trasmissione di cucina in Italia.
Fu il sorriso materno di Wilma De Angelis, nel 1979, a spalancare il sipario su un palcoscenico destinato a fare del cibo spettacolo e degli chef attori. Il cammino, in realtà, fu per diversi anni pacato e rassicurante con una graduale dilatazione della spettacolarità dell’arte culinaria. Tutti ricordano con nostalgico affetto la simpatia di Corrado che, negli anni ‘80 intratteneva le famiglie con “Il Pranzo è servito”, imperdibile parentesi di relax per tantissimi italiani, trasmissione che ancora oggi sopravvive se pur in altre vesti.
Bei tempi quelli! Non solo perché eravamo tutti più giovani ma anche perché certe trasmissioni emanavano emozioni positive, di domestica serenità. Anche quando la sfida tra gli chef si mostrava appassionata, l’atmosfera ricalcava l’ambizione di due amici che si misurano nella complicità di un gioco alla pari, tra sorrisi e pacche sulle spalle, dove alla fine nessuno era mai moralmente sconfitto. Un’atmosfera amichevole e famigliare sottolineata anche dalle sigle musicali candide, fanciullesche, in cui lo spettatore di passaggio era invogliato a cullarsi senza timore, tornando ogni giorno a questo piacevole appuntamento con la tv gastronomica. Naturalmente, alla simpatia del conduttore e all’abilità dei cuochi seguiva il giudizio del pubblico in studio e a casa ma l’assenza di severità lasciava in fine il sapore di una messinscena leggera e divertente. La trasmissione era poi coronata da un paio di ricette semplici e alla portata della più maldestra casalinga, da mettere in opera alla prima occasione, magari fischiettando le note allegre del programma.
Negli anni, la tradizione di questi primi embrionali show culinari s’è tramandata con crescente ingordigia, sia da parte degli attori abbagliati dalle luci della ribalta, sia dei telespettatori sempre più avidi di proiettarsi in sfide impossibili ai fornelli, immedesimandosi di volta in volta con lo chef del cuore.
Oggi, per fortuna, da un lato resistono le intramontabili rubriche gastronomiche che saporano di cultura, anche se costrette spesso in spazi tristemente angusti. D’altro canto, proliferano programmi dedicati alla preparazione della ricetta del giorno, condotti prevalentemente da gentili mani femminili che mescolano simpatia, informalità e un pizzico di imbranataggine, tanto per tranquillizzare chi sta a casa e portarlo sullo stesso piano di chi sta in tv. Tuttavia, la vera novità è che spopolano e si moltiplicano programmi decisamente più audaci, prevalentemente condotti da chef coi pantaloni, che con ostentata arroganza infiammano gli animi dei telespettatori non attraverso il garbato solletico dei sensi bensì attraverso l’esasperata provocazione dei nervi. Basterebbe soffermarsi sul sottofondo musicale di alcuni programmi di guerra gastronomica per percepire il messaggio emotivo sotteso: non più il ritornello naif di Corrado ma una suspense sonora alla Dario Argento, che amplifica pause, sospiri e colpi di scena del duello all’ultimo sangue tra chef e conduttori. Complice del pathos scenico ad alta tensione è la telecamera che indugia impietosa nelle pieghe espressive dei partecipanti fino a cogliere malcelati sudori e contagiosi batticuore.
Il successo di questi show è indiscutibile, sia in Italia sia all’estero, e i casting per parteciparvi sono ambitissimi, vista la fama assicurata dei protagonisti. Tuttavia questo spostamento dal piacere del cibo al piacere della persona testimonia come sia andato perso il sapore ingenuo delle prime trasmissioni e si sia inquinato il rapporto tra conduttori, cuochi e telespettatori ma, soprattutto tra le persone e il cibo! Cibo che da inconsapevole protagonista sembra essere scivolato in secondo piano, divenendo solo una comparsa, un volgare pretesto per dar sfogo a emozioni e reazioni elementari che nulla hanno a che fare con l’alimentazione né con l’arte culinaria.
Su questi palcoscenici, infatti, succede di tutto: si chiacchiera, si spettegola, si maligna, ci si offende, ci si consola, si ride, si soffre, si piange e si esulta. Quello che si fa poco è cucinare, appunto, o insegnare a cucinare.  E tanto meno mangiare. La sensazione diffusa è che il valore del cibo in questo tipo di tv sia sempre più mortificato e disprezzato, perché esso non è più veicolo di cultura ma di primaria emotività. E l’overdose di programmi di questa fattispecie tende da un lato a fagocitare il pubblico in un vortice aggressivo, dall’altro a trasformarlo in un unico grande cannibale, sempre più dipendente e acritico nei confronti della quotidiana indigestione mediatica.
A tutti, infatti, sarà capitato di inciampare in queste trasmissioni durante lo zapping, se non altro per affrettarsi a cambiare canale prima di esserne ipnotizzati. Qual è, allora, il segreto di tale successo? Questi show stimolano dei meccanismi inconsci comuni a tutti noi, che i programmi piacciano o no. L’astuzia psicologica è disarmante nella sua semplicità: l’ossimoro di attrazione-repulsione, di piacere-crudeltà, di seduzione-mortificazione è intrinseca all’essere umano e suscita un’inevitabile spinta di immedesimazione, di reazione proiettiva nei confronti degli attori attorno ai fornelli. Così, emotivamente rapiti, da casa partecipiamo ineluttabilmente al sadismo del giudice conduttore o al masochismo dell’apprendista chef, dimenticandoci completamente del cibo, della ricetta e delle cose buone, lasciandoci piuttosto risucchiare da una viscerale partecipazione psichica. Questo tipo di coinvolgimento somiglia molto ai moti perturbanti suscitati dalle esibizioni a sfondo erotico-sessuale: pur sapendo che è tutta una messinscena e che gli attori sono semplicemente caricature delle nostre attese, ci si abbandona all’evoluzione, o involuzione, dei sentimenti di fronte a un’intimità sempre più profanata dall’esasperazione delle emozioni forti.
In fin dei conti, non dovremmo sorprenderci né scandalizzarci. La chiave del successo di questi show è la stessa dei programmi di trent’anni fa, perché essi sono figli del tempo che li accoglie: non fanno altro che dare in pasto al pubblico il menù che il pubblico vuole. Pubblico che, alla fine, è l’unico veramente cotto a puntino.
Come diceva il buon Corrado, anche oggi il pranzo è servito, solo con ingredienti diversi.
E chi non gradisse, può sempre cambiare canale!

Paola Cerana
Mete d’Italia e del Mondo, Aprile 2013

martedì 5 marzo 2013

L'elogio dell'insalata



L’ELOGIO DELL’INSALATA: DA CENERENTOLA A PRINCIPESSA DELLA TAVOLA

Bayer CropScience presenta la quattordicesima perla della collana Coltura&Cultura:
“Le insalate”

In occasione della quarta edizione della Fiera Agrosud svoltasi di recente a Napoli Bayer CropScience - azienda leader nell’innovazione degli agrofarmaci - ha presentato ufficialmente un nuovo volume della collana “Coltura e Cultura”, quello dedicato alle Insalate, nato come i precedenti dall’affiatamento intellettuale, tecnico e professionale di autori sensibili alla valorizzazione delle grandi colture italiane.
L’opera racconta con rigore scientifico e dovizia di dettagli tecnici e culturali l’universo variopinto di questi vegetali. Perché è troppo facile dire “insalata” quando, in realtà, ogni varietà possiede una propria storia, personalità e virtù e merita pertanto un più attento ascolto.
A introdurre la presentazione è stato Marco Ranzoni del settore Comunicazione e Media Relations di Bayer, che insieme a Paola Sidoti (Business & Marketing Communications Manager di Bayer CropScience) e Maria Lodovica Gullino, docente dell’Università di Torino) ha saputo sintetizzare con semplicità la ricchezza culturale del volume. Gli interventi di due dei 67 autori - Nicola Calabrese (CNR – ISPA Istituto di Scienze delle produzioni alimentari dell’Università di Bari) e Giancarlo Roversi, giornalista e scrittore, direttore di Vie del Gusto - hanno contribuito a rendere ancora più palpabile il valore della pubblicazione sotto l’aspetto agroalimentare e sotto quello storico. Nel libro convergono, infatti, sapere e sapore delle insalate: dalla botanica alla coltivazione, dal valore nutrizionale alle ricette, dalla commercializzazione al consumo, con contributi di carattere storico, paesaggistico e testimonianze nell’arte, nella letteratura e nel cinema.
Emerge un panorama decisamente prospero: l’insalata in tutte le sue specie si è trasformata da alimento tradizionalmente povero a prodotto evoluto e in pochi anni ha abbandonato il ruolo di “Cenerentola” per diventare “Principessa”, sia nell’orto che in tavola. Questo, grazie alla diffusione della “IV gamma” – la serie di pratiche confezioni imbustate pronte all’uso - che a un prodotto nutrizionalmente sano somma un servizio di praticità, maggior conservazione e risparmio di tempo e fatica in cucina.
Evidentemente l’innovazione paga sempre, anche nell’evoluzione delle insalate - come afferma Paola Sidoti - ed è per questo che il fatturato annuo in Italia ha raggiunto i 900 milioni di euro. Infatti, nell’intero comparto delle insalate, la produzione italiana è prima in Europa e a livello globale si colloca con fierezza insieme a colossi quali Cina, Stati Uniti e India.
Per portare in tavola senza alcun rischio e con grande comodità insalate pronte per l’uso tagliate e lavate sono necessarie tecnologie sofisticatissime che coinvolgono l’esperienza di ricercatori e produttori volti a ottenere un risultato sicuro, sano e sostenibile. Bayer CropScience da anni appoggia quest’approccio e dopo i già consolidati progetti “Magis vino” e “Magis uva da tavola”, ha coinvolto anche la filiera delle insalate con il progetto Magis IV gamma, che attualmente comprende 7 grandi aziende destinate ad aumentare.
E per far toccare con mano la realtà di tutto il lavoro sotteso a una confezione di fragranti insalatine, alla presentazione del volume è seguita una visita sul campo, nella florida Valle del Sele. La Società Agricola Ortomad – protagonista di eccellenza nella produzione e diffusione di prodotti ortofrutticoli IV gamma e I gamma - ha infatti aperto le porte per mostrare al vivo l’intero percorso delle insalate, dal terreno al cliente, nel più rigoroso rispetto di ogni fase di trattamento.
E’ un’ulteriore conferma del dialogo collaborativo che grandi aziende possono e devono allacciare per rendere i consumatori più consapevoli e i produttori sempre più appassionati del proprio lavoro. Perché è solo attraverso lo sposalizio tra Coltura e Cultura che si può realmente innovare e ambire all’eccellenza a tavola nel rispetto dell’ambiente.

Paola Cerana

lunedì 4 marzo 2013

Un balsamico amore



Nella vita, poche sono le cose che accendono i sensi con la delicatezza delle fini sollecitazioni. E in un’epoca in cui il piacere è sempre più fagocitato dalla frenesia e dall’eccesso, si rischia di dimenticare del tutto il gusto lento della morigeratezza. A tavola e non solo.
Parlando di appetiti gastronomici, tra le squisitezze in grado di sedurre il palato con un semplice tocco di sensualità, primeggia l’Aceto Balsamico. Quello Tradizionale di Modena e quello di Reggio Emilia rappresentano uno dei vanti del buon gusto italiano, la cui fama ha varcato i confini di tutti i continenti, anche se purtroppo attraverso molte imitazioni che con l’autentica specialità emiliana non hanno nulla a che vedere. Se l’anima di questo condimento si concentra in poche gocce dispensate con amore e fantasia, la sua vita si stempera invece nei meandri di una storia secolare. Autentico elisir di benessere, l’Aceto Balsamico è sbocciato, infatti, nell’alveo di una lunga tradizione che l’ha definitivamente incoronato uno dei ‘re della tavola italiana’.
Un po’ di storia 
Probabilmente, il suo primo antenato era la ‘sapa’, nota già a Virgilio, il quale nelle Georgiche ne narrava le virtù dolcificanti. Era un embrione di mosto cotto in recipienti di legno, da cui si ricavava un liquido dai connotati aromatici vagamente simili a quello che sarebbe stato il vero Aceto Naturale, detto poi Balsamico. L’aggettivo che accompagna il nome dell’essenza suggerisce una mescolanza di usanze antiche e magiche, più legate all’ombra misteriosa dell’alchimia che alla luce della scienza culinaria. Il concetto di ‘balsamico’ si ricollega, infatti, a una dimensione precedente all’analisi chimica delle attuali categorie organolettiche, alludendo alle virtù terapeutiche e curative attribuite sin dall’antichità a questo distillato di benessere. Anche se la prima menzione ufficiale di ‘balsamico’ risale al Registro estense delle Vendemmie e vendite dei vini del 1747, già nel Medioevo l’Aceto Balsamico faceva parlare di sé. La prima testimonianza scritta risale all’anno 1046, quando l’imperatore di Germania Enrico III, in viaggio verso Roma, fece sosta a Piacenza dove restò letteralmente estasiato all’assaggio di uno speciale aceto che “aveva udito farsi colà perfettissimo”. Gli fu offerto da Bonifacio, marchese di Toscana nonché padre di Matilde di Canossa, nelle sale di quel castello destinato a testimoniare l’incontro del perdono, avvenuto qualche anno dopo tra papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV. Proprio all’interno di quelle mura veniva prodotto l’Aceto Balsamico, offerto con giustificato orgoglio dalle teste coronate, i segreti della cui produzione restarono a lungo custoditi dalle consorterie estensi. Dal XII secolo fino al Rinascimento, il prodotto prese a rallegrare sempre più spesso le tavole delle famiglie ricche e socialmente potenti e le stesse acetaie divennero presto un simbolo di tale potere. Fu Alfonso I duca di Ferrara, nel 1476, che estendeva i suoi domini sulle attuali province di Ferrara, Modena e Reggio Emilia, a corroborare la fama di questo elisir capace di conquistare chiunque lo assaggiasse. Il grande poeta reggiano, ma di famiglia di antico ceppo bolognese, Ludovico Ariosto se ne innamorò a tal punto da immortalarlo in una delle sue famose Satire. Tuttavia, il prezioso aceto non appagava esclusivamente il palato dei commensali e la fantasia dei poeti, perché le sue decantate virtù terapeutiche lo indicavano come un vero e proprio medicinale. Era un rimedio comunemente usato contro lo scorbuto e si narra che Francesco IV duca di Modena lo usasse per curare l’ulcera, mentre Lucrezia Borgia per lenire i dolori del parto. In seguito, durante la grande peste del Seicento, fu sfruttato anche per le sue qualità aromatiche: versandone alcune gocce sulle braci dei camini accesi nelle case serviva da purificatore dell’aria infetta e maleodorante. Non mancano aneddoti più goliardici che lo immortalano anche come afrodisiaco, unendo gli appetiti della tavola a quelli del letto. Pare, infatti, che i più voluttuosi libertini del Settecento, tra cui Gian Giacomo Casanova, ne fossero fedeli consumatori. Durante tutto l’Ottocento, le testimonianze scritte sul suo impiego si colorarono di dettagli sempre più vivi, legati indissolubilmente alle abitudini sociali del territorio d’origine. Si sa, per esempio, che le famiglie nobili modenesi e reggiane dell’epoca usavano impreziosire la dote delle future spose con le “acetaie”, una batteria in genere di 3, 5 o 7 botticelle di legni differenti contenenti aceto balsamico particolarmente pregiato.
E’ grazie a questa preziosa eredità culturale tramandata nei secoli che si approda ai giorni nostri, conservando intatte le virtù di un’eccellenza gastronomica italiana sempre più apprezzata anche all’estero.
La Produzione oggi
Per chiarezza, è bene precisare che alla famiglia reale dei Balsamici, appartengono l’Aceto Balsamico Tradizionale sia di Modena (ABTM) sia di Reggio Emilia (ABTRE), un’accoppiata vincente in cui ognuno possiede un temperamento unico, una propria anima inconfondibile e inimitabile. Il metodo di produzione è quello tramandato nei secoli, ‘tradizionale’ appunto: l’anima della lavorazione è il mosto cotto, ottenuto dal Trebbiano e da altre uve rigorosamente locali, quali Lambrusco, Ancellotta, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino e Occhio di Gatta, tutte uve che assicurano al mosto almeno 15 gradi saccarometrici. Dopo di che, la prodigiosa metamorfosi da mosto a elisir avviene durante una lenta fermentazione custodita in vaselli, o botticelle, di legni pregiati che riposano nell’acetaia per almeno dodici anni. Il tipo di legno che ospita il mosto durante la maturazione determina sfumature olfattive e gustative molto variegate, accentuate anche dal travaso da una botticella all’altra, dalla più grande alla più piccola. Vaselli in quercia, rovere, ginepro, ciliegio, robinia, frassino, gelso o castagno influiscono sul carattere finale del prodotto, che sarà di conseguenza più o meno vivo, franco, vellutato, sciropposo, amalgamato e comunque sempre prezioso. Non viene aggiunto altro all’interno dei vaselli minuziosamente numerati, eccezion fatta per l’eventuale innesto delle colonie batteriche, la cosiddetta ‘madre’. L’alchemica trasformazione avviene nella quieta penombra e nel silenzio odoroso dell’acetaia, dove il mosto viene armoniosamente cullato e lasciato respirare fino alla sua completa maturazione. Il prelievo di aceto al termine dell’invecchiamento deve avvenire con la stessa parsimonia e premura con cui è stato curato l’intero processo, per evitare di snervare il prodotto che resterà ancora a riposare.
Si capisce come questo sia un matrimonio filosofico tra pazienza e sapienza, tra lentezza e morigeratezza, il cui frutto viene consacrato alla scrupolosa attenzione di esperti analisti sensoriali prima di essere definitivamente promosso al pubblico. L’affinamento del bouquet deve raggiungere un preciso punto d’equilibrio olfattivo e gustativo, in cui l’intensità sposi adeguatamente la delicatezza per proporsi ai sensi con misurato garbo. Un condimento di tale levatura deve, infatti, carezzare senza aggredire le pietanze e corteggiare senza violentare i palati. Anche il tipico colore ambrato dell’Aceto Balsamico è messaggero delle sue proprietà intrinseche, in grado di anticipare, attraverso le gradazioni cromatiche, le sensazioni olfattive e gustative. Per l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia tre sono le sfumature tradizionalmente riconosciute: ‘aragosta’, che indica la tipologia più agra dalla timbrica squisitamente tenue e delicata; ‘argento’, che si riferisce a un carattere più corposo, avvolgente e tendenzialmente dolce; ‘oro’, che definisce il tipo più raro e pregiato, ricco di una dolcezza penetrante, sciropposa e persistente. E’ il caso dell’Aceto Balsamico Extravecchio, ottenuto dopo venticinque anni di maturazione e di esaltazione della qualità, ideale soprattutto a fine pasto per trasformare un qualunque dessert in un’opera d’arte.

L’utilizzo in cucina
La versatilità dell’Aceto Balsamico è straordinaria e non c’è piatto che non sposi felicemente la sua voluttuosa alchimia. Generalmente, gli aceti più giovani si addicono meglio agli ortaggi crudi, ai legumi, alle cipolle e alle patate; mentre gli invecchiati preferiscono le carni cotte, i dessert e i gelati, basti pensare al delizioso gelato Matilde in cui poche gocce di Balsamico trasformano la candida crema in pregiato nettare. Una piccola raccomandazione per chi in cucina ama improvvisare a discapito dell’esperienza: l’Aceto Balsamico Tradizionale reclama l’utilizzo a crudo, poiché le cotture prolungate ne mortificano la personalità, inoltre sui cibi cotti andrebbe versato solo al termine per non violare la verginità del bouquet. In ogni abbinamento, comunque, un Balsamico di rispetto dovrebbe sopraggiungere all’appuntamento con gli altri ingredienti all’ultimo istante, proprio come la donna a un appuntamento galante. Solamente sugli ortaggi crudi è consigliabile anticiparlo all’olio, extravergine ovviamente, ma farlo rigorosamente seguire al sale. L’essenziale è che venga sempre profuso con oculata moderazione: a gocce, a spruzzo, col cucchiaino, evaporato, sfumato o amalgamato, ne bastano poche gocce per esaltare i sapori di ogni alimento senza involgarirne la peculiarità. Per questo suo carattere generoso e democratico, l’Aceto Balsamico è il trucco vincente nel cilindro magico di ogni gourmet che voglia trasformare un anonimo piatto in un miracolo da illusionista: dai risotti alle paste; dalle carni rosse o bianche ai pesci e ai crostacei; dalla selvaggina ai tartufi; dalle verdure cotte o crude alla frutta fresca; dalle salse piccanti alle composte e ai frullati; dalle torte ai gelati. Il balsamico concilia amorevolmente i gusti concertando tutti i sensi. Basterebbe, tuttavia, assaggiarne poche gocce lacrimate su fragranti petali di parmigiano reggiano per innamorarsi perdutamente di lui. Infine, un consiglio per veri intenditori è quello di gustarlo ‘nudo’, in purezza, sorseggiando ad occhi chiusi un autentico Extravecchio da un sottile bicchierino di cristallo, decantando lentamente effluvi, memorie e desideri. E’ un piacere raffinato, questo, da meditazione solitaria o amorevolmente condivisa, sospeso tra la profondità spirituale e la sollecitazione sensoriale. Abbandonandosi a quel balsamico andirivieni di sfumature lucenti e sciroppose, sarà naturale avvertire un piacevole fervore alle labbra solleticate dal calore della lingua. Un tiepido fervore che solo un bacio lento e appassionato potrebbe prolungare in un fiorito bouquet di nuove balsamiche fragranze.
Insomma, se un buon Balsamico è il condimento perfetto per ogni piatto, l’amore è il condimento perfetto per ogni Balsamico, giovane o invecchiato che sia. Perché cose così eccelse non hanno età.

(Pubblicato su ON e tradotto anche in cinese)