lunedì 3 settembre 2012

Elogio della depressione




Cosa ci può essere di così elogiabile in un male oscuro come la depressione?
Aldo Bonomi, sociologo, e Eugenio Borgna, psichiatra, lo svelano in questo libro, edito da Einaudi, dal titolo che pare un ossimoro. Due studiosi, due scrittori ma soprattutto due persone che il destino ha intrecciato in un’amicizia a priori, uno di quegli incontri contaminanti che fanno improvvisamente scoprire passioni e missioni comuni, forse già altrove disegnate. Così, sociologia e psichiatria, due discipline apparentemente lontane l’una dall’altra, con linguaggi e orizzonti diversi, si amalgamano e si arricchiscono in queste pagine, traducendo liquide definizioni cliniche in solide esperienze umane.
Bonomi e Borgna esplorano i paradossi del nostro tempo e i malesseri della nostra società, scavando all’origine della sofferenza. Elogiano quella che viene poeticamente chiamata la malaombra, perché dietro la sua maschera mortifera s’incarnano modi di essere e di sentire colmi di emozioni straordinarie. Emozioni intelligenti, comuni a così tanti destini che, insieme, potrebbero innescare una rivoluzione morale in grado di rendere la vita di tutti più degna d’essere vissuta, come per effetto di un benefico contagio.
Nella prima parte del libro, Aldo Bonomi fa una radiografia della società talmente nitida da spalancarci gli occhi su ciò che spesso, essendo troppo vicino, non riusciamo a vedere. Non c’è bisogno di andare lontano, di osservare l’estremo, per capire. Le nostre città con le loro periferie sono sempre più culle di anime ferite, spesso invisibili o ignorate ma spesso anche assistite, come fa la Caritas di Milano. “Qui si lavora e si accompagnano i soggetti silenti per produrre inclusione, non contenimento e segregazione. Ho imparato che se si vuol continuare a capire, bisogna oltrepassare la soglia tra l’Io e il Noi.” E’ in queste parole di Bonomi che affiora il pensiero di Borgna: non si può fare ricerca sociale sui drammi del nostro tempo senza scendere in strada, in mezzo alla gente, senza guardare in faccia chi ha perso il lavoro, la casa, un affetto, senza ascoltare chi preferisce morire anziché sopravvivere. Bisogna ‘sentire’ per capire. L’esperienza di Bonomi rintraccia uno spaesamento culturale e morale che fa paura, anche senza addentrarsi nei gironi dei senzatetto o dei migranti. L’inferno è anche quello ‘normale’. I legami sociali e familiari, quelli quotidiani, sono spezzati, bruciati da un presente che non rappresenta più una tappa intermedia tra passato e futuro, in quanto dilata i suoi confini soffocando l’esperienza di vita sociale in un frammentato mosaico di eventi svuotati di valori profondi. La famiglia ha perduto ogni forza simbolica e coesiva: da una parte pesa l’infelicità desiderante dei giovani, dall’altra l’infelicità senza desideri degli anziani, in mezzo vacilla l’angosciato smarrimento degli adulti, in un cortocircuito tra monadi senza speranza e senza comunicazione. Spopolano, così, le passioni tristi, la povertà crescente semina vergogna e la miseria alimenta un circolo vizioso fatto di solitudine e silenzio, in cui l’unica via di salvezza diventa troppo spesso la morte volontaria, a qualsiasi età e in qualsiasi fascia sociale.
Nella seconda parte del libro, Eugenio Borgna prende per mano l’inquietante analisi di Bonomi, dando voce alle ragioni del cuore: le emozioni. Illustra, con il suo abituale linguaggio poetico, quali sono le diverse forme psioco(pato)logiche di depressione e come si manifestano, intrecciando cause psicologiche e cause sociali. Quella più drammatica, la depressione psicotica, è in realtà l’espressione meno frequente rispetto alle altre epifanie, la depressione esistenziale e quella motivata o reattiva. Leggendo, si capisce che, lungi dall’essere una malattia aggressiva circoscritta solo ad alcuni di noi, la depressione è una sofferenza diffusa e normale, diluita nella società come un fiume carsico che a tratti affiora. E’ un germe psicologico che può albergare nell’anima di ogni persona capace di emozionarsi e di percepire la propria fragilità e la propria sensibilità. “Conoscere la depressione, i suoi modi di essere, averla vissuta almeno una volta nella vita, dilata le personali possibilità di dialogo e di ascolto. Si creano così solidarietà che oltrepassano le ideologie e gli egoismi individuali.” Accettando l’autenticità dell’Essere umano, fatto anche di timidezze, di fragilità e d’incertezze, diventa più facile riconoscersi negli altri e porsi in reciproco ascolto senza diffidenza né vergogna ma, semplicemente, con la volontà d’essere se stessi, insieme. La condizione depressiva, allora, quando non si manifesta nella sua espressione patologica, è il riflesso di un’inconsapevole, nobile insofferenza nei confronti dei ritmi aridi e febbrili della vita odierna. In questa chiave di lettura, il gelo della malaombra si fa calore, diventa scintilla che accende la possibilità di una vita eticamente ed esistenzialmente degna d’essere vissuta.
Nell’ultima parte del libro, Aldo Bonomi e Eugenio Borgna duettano, interrogandosi sulle diverse angolazioni con cui sociologia e psichiatria affrontano la realtà magmatica della fragilità umana, di cui la depressione è lo specchio prismatico. Da questo dialogo tra amici, emergono un invito e una speranza. L’invito è di rivivere le comunità di cura e di destino non come astratte definizioni cliniche o sociologiche ma come esperienze di vita che riguardano tutti noi, nessuno escluso. La speranza è che si possa giungere a una dilatazione delle ragioni del cuore, nutrite di autentica vita emozionale e trainate dalla gentilezza, dalla comprensione e dalla partecipazione. Questo libro non vuol essere un elogio all’infelicità ma un’assennata rivalutazione della sofferenza psichica, perché dietro ogni malaombra splende sempre una bellissima luce.
In un mondo fatto di grida, l’Elogio della depressione è un sussurro che dà voce all’anima, destinato a sgretolare quell’arida superficie su cui la maggior parte di noi s’è consumata a vivere. Perciò, “Depressi di tutto il mondo unitevi. Si può fare esodo, si può tutti andare a stare un po’ meglio nella diaspora verso un altrove.”

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